
Cobar News
May 29, 2025 at 08:39 PM
Caro Gaetano ti sei giustamente occupato delle perdite economiche dei colleghi durante il rinnovo del contratto ma non hai detto una parola in merito alla penalizzazione che abbiamo subito noi pensionati. Vedi di fare qualcosa a livello sindacale per adeguarle all’inflazione e farci rimborsare per i tagli degli ultimi due anni. Fatti sentire e fammi sapere qualcosa… Leonardo…”.
Caro Amico Leonardo, rileggendo i miei interventi riconosco le Tue doglianze. Il periodo non è stato esaltante e abbiamo avvertito il crollo del Nostro potere d’acquisto giorno dopo giorno.
Il rinnovo del contratto è andato come è andato e, oggi, non serve “piangere sul latte versato” (detto certamente vetusto che, però, rende l’idea).
tagli che hanno colpito la rivalutazione delle pensioni nel 2023 e 2024, dispiace dirlo, non possono essere positivamente affrontati da me e dai Sindacati. Non Te lo dico perché ormai, essendo pensionato anch’io, sono fuori dai giochi e non ho più cariche sindacali; ma per gli effetti prodotti dalla legge n. 197/2022. La legge di bilancio 2023 che ha modificato il meccanismo di rivalutazione per il suddetto biennio, prevedendo percentuali di perequazione decrescenti in base all’importo della pensione percepita.
La Tua è la speranza di molti pensionati, ma, purtroppo, non ci saranno rimborsi, né adeguamenti retroattivi perché la rivalutazione piena, al 100%, per gli anni 2023 e 2024, è prevista solo per le pensioni Inps fino a quattro volte il minimo, (2.100 € lordi).
Per chi percepisce una pensione tra quattro e cinque volte il minimo è stata prevista una rivalutazione pari all’85% e del 53% per chi è ricompreso tra le cinque e sei volte il minimo, fino ad arrivare al 32% (2023) e 22% (2024) per chi supera di dieci volte il minimo.
Le suddette percentuali, sono certamente penalizzanti rispetto a quelle previste dalla legge n. 160/2019 (legge di bilancio 2020), che fissava la rivalutazione al 90% per le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo e al 75% per quelle superiori a 5 volte. Questo sistema di perequazione più favorevole, comunque, è stato ripristinato a partire dal 1° gennaio di quest’anno, ma per il pregresso non c’è speranza.
Possiamo accusare il Governo e chi vogliamo, ma, a mio ignorante avviso, continuano a scaricare sui “Peones” i costi della spesa pubblica, sostenendo il solito “mantra”: delle misure di contenimento della spesa, della sostenibilità del “sistema previdenziale”, degli aiuti alle famiglie, degli interventi sulla flessibilità in uscita, “patapim e patapam”.
Amico mio, credimi, il “sistema” viaggia per conto suo e ritiene poco importante “come” si arriva alla soluzione di un problema perché ciò che conta davvero è la parvenza di trovarla. Per gli “eccelsi” basta l’intenzione e non la ricerca della soluzione migliore in senso generale.
Il comunicato del 14 febbraio scorso, diffuso dall’ Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale, presenta la ricostruzione della decisione della Corte costituzionale riguardo alla legge di bilancio per il 2023, legge che ha introdotto misure di “raffreddamento” sulla rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo Inps.
Dal punto di vista critico, si possono sollevare alcune considerazioni partendo dal presupposto che la Corte costituzionale ha ritenuto legittime le misure adottate perché non ledono i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, limitandosi ad intervenire in modo temporaneo e selettivo, salvaguardando le pensioni d’importo modesto e riducendo gradualmente l’adeguamento delle pensioni più elevate. Tuttavia, questa interpretazione rischia di minimizzare la portata delle ricadute economiche e sociali di tali misure poichè la riduzione dell’indicizzazione può portare all’impoverimento progressivo di chi riceve pensioni più elevate, accentuando le disuguaglianze e ponendo problemi di equità intergenerazionale e di coesione sociale.
Inoltre, il giudizio della Corte si basa sulla coerenza delle scelte del legislatore con le finalità di politica economica, quali il contrasto agli effetti dell’inflazione e la tutela delle classi meno abbienti.
Sebbene tali obiettivi siano legittimi, vi è il rischio che questa logica di “raffreddamento” possa essere utilizzata per giustificare interventi più ampi e strutturali che, nel tempo, potrebbero erodere il valore delle pensioni di fascia alta senza un adeguato dibattito pubblico o una valutazione approfondita degli effetti sociali.
L’affermazione che il legislatore possa “tenere conto” delle perdite subite in future manovre di rivalutazione appare piuttosto vaga e lascia aperta la questione sulla trasparenza e sulla coerenza delle politiche pensionistiche a lungo termine. Si rischia, infatti, di adottare soluzioni tampone che, anziché affrontare le cause strutturali di squilibrio e di sostenibilità del sistema previdenziale, si limitano a interventi emergenziali e temporanei.
In conclusione, mentre la decisione della Corte può apparire in equilibrio tra le esigenze di stabilità economica e la tutela dei pensionati, è importante vigilare affinché tali misure non diventino strumenti di riduzione progressiva del valore delle pensioni di fascia alta, senza una reale valutazione dell’impatto sociale e senza un dibattito approfondito sulle politiche di riforma previdenziale nel loro complesso.
Lascio a Te e ai Colleghi eventualmente interessati all’argomento, ogni ulteriore considerazione e giudizio, riportando, in calce, il testo del Comunicato del 14 febbraio 2025.
Cordiali saluti e buona vita, Gaetano.
