
Masters Of The Universe
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Racconti MOTU scritti da KaJu di "KaJu's Masters of the Universe" (lo trovate su YouTube e Facebook)
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L’ abominevole Clawful Il dolore la consumava, una morsa di fuoco che le serrava il corpo senza pietà. Si ridestò in un rantolo, le membra scosse da un tremito incontrollabile, e la consapevolezza dell'incubo vissuto la investì con la violenza di una lama affondata nelle carni. Avrebbe dovuto essere morta. Invece, era lì, viva, e il solo pensiero la spinse alle lacrime. La testa le pulsava, il mondo girava attorno a lei in un vortice senza senso. Il cuore batteva all'impazzata, come il tamburo di guerra di una tribù selvaggia, e la paura le serrava la gola in una morsa d'acciaio. Senza la calma, non avrebbe potuto attingere alle sue energie magiche. Doveva fermare il panico, riprendere il controllo. Ma anche il solo respiro era una lotta contro il dolore. “No, non morirò qui. Non oggi.” Teela-Na strinse i denti e tentò di sollevarsi, ma il grido che le sfuggì dalle labbra lacerò il silenzio della grotta. Le gambe erano spezzate. Sangue caldo e scuro colava sulle pietre umide, ma il caso o il destino avevano evitato il taglio delle arterie. Non poteva perdere altro tempo. Si lasciò rotolare su un fianco, serrò i denti fino a sentire il sapore del sangue e strisciò sulle braccia, spingendosi fino a una parete di roccia. Da lì, ansimante, poteva vedere l'uscita della caverna e, oltre, il mare in tempesta. Il suono delle onde le permise di mettere ordine nei ricordi. Il giorno prima, quando sentì bussare qualcuno alla sua porta, la giovane Teela-Na si alzò dalla posizione di meditazione in cui si trovava e andò ad aprire. Aspettava qualcuno e quel qualcuno doveva essere il figlio dell’armaiolo a cui aveva commissionato il corpetto di un’armatura personalizzata disegnata da lei stessa per il suo amato Duncan. Il manufatto non era solo un dono, ma un simbolo della sua dedizione, un tributo alla forza e al coraggio dell’uomo che amava. L’aveva ideata con uno stile tutto particolare, con forme e decorazioni che avrebbero ricordato un drago o qualcosa di ugualmente accattivante. Aveva scelto un colore rosso con delle striature nere sul davanti. Sarebbe stata un’armatura stupenda e resistentissima, degna di un guerriero di grande valore. Il suo dono sarebbe stato apprezzato persino da un re. Markus il Mastro, l’armaiolo più abile di Eternia, non era solito accettare commissioni personali, riservando la sua arte ai nobili e ai campioni del regno. Tuttavia, la passione e la determinazione di Teela-Na lo avevano convinto, e così la giovane aveva impiegato quasi un anno per racimolare l’oro necessario. Ma per colui che un giorno sarebbe diventato il Man-at-Arms del regno, e lei ne era certa su questo punto, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Ma quando ella aprì, alla porta non c’era il figlio di Markus ma Markus stesso, con l’agitazione stampata in volto: “Mio figlio… mio figlio è scomparso.” Due giorni prima, il ragazzo aveva lasciato la bottega per portarle la commissione, ma non era mai tornato. Teela-Na non esitò: partì con Markus per seguire il tragitto, decisi a scoprire cosa fosse accaduto. Il sentiero principale non offriva indizi. Ma quando Markus ricordò che, a volte, suo figlio prendeva una scorciatoia lungo la riva, decisero di controllare là. E l'orrore li travolse. Markus fu il primo a vedere il macabro trofeo abbandonato nella sabbia. La testa mozzata di suo figlio, il volto sfigurato in una smorfia di agonia. Il resto del corpo era stato smembrato con brutalità indicibile, gli arti divelti con violenza, non tagliati ma strappati, come da un predatore sovrumano. Il grido di Markus squarciò l'aria, un lamento da animale ferito. Teela-Na percepì allora una presenza. Un suono sordo, un battito ritmico che si propagava tra le rocce. E qualcosa si mosse nelle ombre della grotta poco oltre la spiaggia. Markus, accecato dalla furia, afferrò un legno dalla sabbia e si lanciò verso la caverna, incurante delle urla di Teela-Na che lo esortavano alla prudenza. Lei lo seguì, il cuore impazzito, i sensi in allerta. Dentro la grotta, l'orrore prese forma. Una creatura emerse dalle tenebre, una bestia dalla parvenza umanoide ma del tutto aliena. Superava i due metri, il corpo massiccio, irto di escrescenze ossee. Dove le mani avrebbero dovuto essere, vi erano mostruose chele, una delle quali più grande dell'altra, un'arma nata per distruggere. Il volto, se di volto si poteva parlare, era una maschera di follia rossa e priva di pelle, una struttura ossea che lo ricopriva come un teschio deforme. Gli occhi spalancati rivelavano un'assenza di ragione, pura ferocia istintiva. E sul petto della creatura, avvolta come un trofeo strappato nel sangue, brillava l'armatura rossa e nera di Duncan. Markus si lanciò con un ruggito disperato. La creatura si mosse con velocità inumana. Un istante dopo, il corpo dell'armaiolo volava all'esterno della caverna, e il mostro lo raggiunse con un balzo. Con un colpo di chela, gli fracassò il torace. Poi, lo sollevò per il collo con l'altra, serrò la presa e lo strappò in due. Il sangue di Markus si riversò sulla sabbia mentre la creatura gettava i resti verso Teela-Na. Lei cercò di arretrare, ma il terrore la paralizzò. Era senza armi, senza difesa, priva di qualsiasi speranza. Tentò di evocare un incantesimo, ma non ebbe il tempo. Il mostro la colpì con un fendente della sua chela titanica. Le ossa si frantumarono, la carne si squarciò. Il mondo divenne buio. Quando riaprì gli occhi, era ancora viva. Il mostro era sparito. Forse l'aveva creduta morta, forse era semplicemente soddisfatto della sua razzia. Ma lei non era morta. E non sarebbe morta lì. Il buio le premeva addosso come una lastra di granito, il dolore un magma incandescente che le divorava le ossa. Ma non poteva arrendersi. Non qui, non ora. Teela-Na chiuse gli occhi e richiamò ogni briciolo di energia rimasta nel suo corpo devastato. Con uno sforzo sovrumano, guidò il potere nel sangue spezzato delle sue gambe, sentendo la carne bruciare e le ossa farsi incandescenza sotto il peso dell’incantesimo. Un brivido le percorse la spina dorsale quando i tessuti si saldarono quel tanto che bastava perché potesse rimettersi in piedi. Non era guarita, ma poteva muoversi. Serrò i denti per non urlare e si spinse via dalla roccia, il sudore e il sangue che le velavano la pelle come il sigillo di una sopravvissuta. La spiaggia era ancora lì, il mare si muoveva con la sua impassibile indifferenza, mentre la caverna alle sue spalle sprofondava in un silenzio carico di presagi. Clawful non era tornato. Ma sarebbe mai davvero scomparso? Con ogni passo traballante, Teela-Na sentiva la sua volontà farsi ferro. Il dolore non era più un nemico, ma un giuramento. Era sopravvissuta a quell’orrore, e un giorno avrebbe trovato il modo di vendicare Markus, il figlio dell’armaiolo e tutti gli altri caduti per mano di quella creatura. Sarebbe tornata più forte. E quando lo avrebbe fatto, l’abominio che aveva insanguinato quella spiaggia avrebbe imparato che c’era qualcosa di ancora più letale della sua sete di carne: la furia di una donna tradita dalla sorte e forgiata nella tempesta della vendetta.

Visite inaspettate o attese? (Febbraio 2025, KaJu) Nello spazio insondabile, sospesa nell’orbita geostazionaria di Etheria come una lama pronta a calare, si stagliava un’immensa astronave. Per anni aveva proiettato la sua ombra sulle terre conquistate, monito costante della schiavitù imposta e della forza inarrestabile del suo padrone. Era la nave ammiraglia di una mente più fredda, calcolatrice e spietata di Skeletor stesso, un nome inciso nel terrore e nella rovina da secoli immemorabili: Hordak. Il tempo non aveva più significato per il cyborg, da quando si era volontariamente spogliato della propria mortalità attraverso esperimenti blasfemi, compiuti nei giorni in cui era un brillante scienziato al culmine dell’antica civiltà di Eternia. Ma la sua ambizione lo aveva spinto oltre ogni limite, fino a violare leggi antiche, leggi che ancora reggevano l’ordine del pianeta. Per i suoi crimini, fu esiliato e costretto a lasciare il suo mondo natale, bandito oltre i confini conosciuti, oltre quella galassia. Ma ciò che per altri sarebbe stata una condanna, per lui divenne una nuova ascesa. Mentre il tempo divorava Eternia e le guerre ne consumavano la gloria, trasformandola in un cumulo di rovine, Hordak sopravvisse, al sicuro nel suo esilio. Nessuno lo ricordava più, ma il seme della distruzione che era germogliato in lui non si era estinto: era stato solo gettato lontano, in un terreno ancora più fertile. E decenni dopo, quando altri pianeti sarebbero caduti sotto il peso della sua stessa ambizione, quella stessa rovina si sarebbe estesa su tutto e tutti. Secoli erano passati. Il suo corpo si era affinato nella perfezione meccanica, il suo dominio era cresciuto, le sue armate si erano moltiplicate. Etheria era divenuta il cuore pulsante del suo impero, un crogiolo di armi e guerra, alimentato da schiavi piegati al suo volere. Ma la galassia che lo aveva generato attendeva ancora il suo ritorno, e lui sapeva che il momento sarebbe giunto. Ora si trovava sulla sua nave, distante dalle meschinità del mondo fisico. I suoi ufficiali governavano in sua vece secondo i suoi piani, la sua Orda Infernale eseguiva gli ordini con cieca obbedienza. Non aveva bisogno di cibo, né di riposo, né di cure. Il suo corpo non invecchiava, non cedeva, non falliva. Era pressoché perfetto, ma per chi è servo dell’ambizione, neanche raggiungere la perfezione è la fine del viaggio. Eternia, il pianeta al centro dell’universo, serbava ancora qualcosa di prezioso per lui. Un tassello incompleto della sua ascesa, un frammento del passato che il suo esilio gli aveva strappato via. Appunti, schemi, formule, conoscenza che aveva sfiorato prima di essere bandito, lasciata indietro nell’urgenza della pena. Sapeva bene dove fosse custodita: nelle sale oscure del Castello di Grayskull, protetta da incantesimi e segreti antichi. Ma nessuna barriera era insormontabile per chi aveva fatto dell’ingegno la sua arma suprema. Immerso nel silenzio, con le braccia conserte, Hordak osservava la propria immagine riflessa sullo schermo, oltre il quale lo spazio si distendeva in un abisso di tenebra e vuoto. Nessuno osava disturbarlo nei suoi alloggi, nemmeno la Tessitrice d’Ombre. Nessuno, tranne colui che ora era alle sue spalle. Eppure Hordak non si mosse. Hordak: “Chiunque altro, fosse un dio o il più atroce dei demoni, avrebbe conosciuto la mia ira per un simile affronto. Ma per voi… per voi faccio un’eccezione. Non la chiamerei stima. È piuttosto consapevolezza della vostra utilità.” La figura rimase immobile. Hordak si voltò. I due si scrutarono come titani sull’orlo della battaglia. Stessa altezza, stessa imponenza, la fierezza scolpita nel portamento. Hordak indossava il suo corpetto nero con l’emblema del pipistrello rosso sul petto, il mantello calava sino ai polpacci, lasciando scoperto il resto della figura, i guanti e gli stivali neri come la morte stessa. L’altro aveva la pelle rosata, ma non era umano. Il volto celato da un elmetto dello stesso colore intenso che adornava parte della sua armatura. Hordak: Cosa ci fai qui da me, Zodac? Voi guerrieri cosmici siete neutrali, è l’ unico motivo per cui vi sopporto. Avanti, parla!! Zodac: “Vuoi davvero fingere di non sapere? Non sei troppo vecchio per questi giochetti, Hordak?” Hordak: “La tua neutralità non ti consente di mettermi i bastoni tra le ruote. Ho il diritto di fare ciò che voglio, e quando la mia arma sarà completata…” Zodac: “Tu non farai nulla. Noi guerrieri cosmici non ci curiamo delle lotte di potere, ma l’equilibrio dell’universo non deve essere infranto. Se Eternia cade, il cosmo stesso ne pagherà il prezzo.” Hordak: “Sciocchezze!” L’urlo fece vibrare l’aria. Il volto cadaverico, il muso da pipistrello, le sporgenze ossee che sembravano armi naturali: tutto in Hordak gridava dominio. Poi rise. Una risata dura, metallica. Hordak: “Voglio solo reclamare ciò che è mio. Grayskull ha conservato i miei segreti per troppo tempo. Non intendo distruggere il pianeta.” Zodac: “Eppure sarà ciò che accadrà.” Hordak: “Voi guerrieri cosmici potete prevedere le catastrofi? Allora ditemi, perché non avete salvato Eternia dalle grandi guerre?” Zodac: “All’epoca il nostro codice era più rigido. Siamo intervenuti solo per impedire la distruzione totale, e due dei miei compagni perirono per questo. Ora ci è concesso intervenire prima che il disastro sia inevitabile.” Hordak: “Quindi la mia arma, ancora incompleta, condannerebbe Eternia? Offendete la mia intelligenza. Ogni mio progetto è studiato nei minimi dettagli, e non risulta che…” Zodac: “Basta! Il mio potere non mente. Le sostanze che rilascerai nell’atmosfera reagiranno con le ceneri vulcaniche dormienti. Quando le tue navi atterreranno, la combinazione con i loro propulsori incendierà l’intero cielo di Eternia. Nulla sopravvivrà. Neppure tu.” Hordak rimase in silenzio. Zodac: “Non mi importa chi possiederà i segreti di Grayskull. Ma il pianeta non deve perire.” Hordak si voltò lentamente. Hordak: “Computer, mettimi in contatto con la plancia. Qui Hordak. Ordino l’immediata cessazione del ‘Programma Retaggio-Amaro’. Distruggete l’intera produzione.” Zodac non disse nulla. Hordak: “Soddisfatto? …Dove sei finito?” La stanza era vuota. Zodac era svanito come un miraggio. Hordak tornò a fissare lo schermo. Un sorriso feroce increspò le sue labbra. Hordak: “Computer, hai registrato i dati dell’armatura del guerriero cosmico?” Computer: “Analisi completata. Il corpetto è replicabile. L’elmetto, invece, sfugge alla scansione.” Hordak: “Peccato. Ma posso accontentarmi. Attirarlo qui è costato molto… ma ne è valsa la pena. Ah ah ah! Parola di Hordak!”