Le cronache di questi giorni hanno riacceso i riflettori sulla Repubblica Democratica del Congo. Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, a est del Paese, è caduta sotto i colpi dei miliziani dell’M23. Con dietro l'ombra del Ruanda, il gruppo armato ha costretto alla resa circa 1.200 soldati congolesi, lasciando a terra oltre 100 morti. Proteste per l’occupazione della città nella capitale, Kinshasa, dove sono state assaltate anche le sedi diplomatiche dei Paesi occidentali, accusati di complicità col governo ruandese di Kagame. Il Nord Kivu è da decenni teatro di conflitti cruenti. Il perché si trova sottoterra: l’area è ricca di risorse minerarie, come oro, rame, cobalto, diamanti. E, soprattutto, coltan: una miscela di columbite e tantalite sempre più strategica e redditizia. Il sospetto è che l’M23 sia quindi il braccio armato del governo di Kigali per la conquista e lo sfruttamento dei tesori minerari del Congo. Il Ruanda, però, nega ogni coinvolgimento oltreconfine, ma un recente report dell’Onu ha svelato la verità: tra i ribelli ci sono migliaia di soldati ufficiali ruandesi che hanno in dotazione armi sofisticate e tecnologie all’avanguardia, fornite direttamente dal governo di Kagame. Come può un piccolo Paese come il Ruanda, di appena 12 milioni di abitanti, mettere in difficoltà un Paese grande come la Repubblica Democratica del Congo, abitato da 109 milioni di persone? La risposta parte dal passato: dopo il genocidio del '94, e le due sanguinose guerre che si sono trascinate fino ai primi anni 2000, Kagame è riuscito a costruire una piccola potenza economica, con un esercito disciplinato e motivato. Allo stesso tempo la RDC, seppur ricca di risorse, è rimasta soffocata dalla corruzione, dalla miseria e dall’instabilità. Il mondo di #inmezzora Scopri di più 👉 https://www.instagram.com/p/DFftsGEhEOl/?igsh=MTFhb21rOTN4YTE1aA==