HUMAN RELOAD - Outgrow your limits.
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May 19, 2025 at 05:06 AM
L’EVOLUZIONE (PRESUNTA) DELLA SPECIE HR. Da “reparto timbri, paghe e contributi” a stratega della sostenibilità. Se l’azienda fosse una nave, la funzione HR non sarebbe il mozzo che registra le presenze dei marinai, ma il navigatore che suggerisce la rotta. E quando la destinazione si chiama sostenibilità, non basta saper galleggiare: serve una mappa, una visione e il coraggio di cambiare direzione. Per troppo tempo le Risorse Umane sono state viste come il reparto dei timbri e delle buste paga. Ma oggi, in un mondo che cambia alla velocità della luce, tra pressioni competitive, urgenze climatiche e tensioni sociali, l’HR deve smettere i panni dell’impiegato amministrativo e indossare quelli del cambiatore seriale. Il cambiamento sostenibile non è fatto di slide ESG o di comunicati stampa green: nasce da decisioni quotidiane, da coerenza culturale e da persone consapevoli. Negli ultimi anni, acronimi come ESG – Environmental, Social, Governance – sono diventati ovunque: nei meeting, nelle newsletter, sulle spillette. Eppure, proprio in questo proliferare di buone intenzioni, il rischio più grande è che la sostenibilità diventi un'altra moda da catalogo. Ma chi, se non l’HR, può trasformare quelle tre lettere in pratiche organizzative? Chi può fare in modo che ESG non sia un'etichetta ma un comportamento? Parliamo allora di azione concreta. L'Environmental è anche reclutare talenti sensibili ai temi ambientali, favorire pratiche ecologiche sul luogo di lavoro, progettare modelli ibridi che riducano l'impatto ambientale. Il Social è promuovere inclusione, sicurezza psicologica, equità, dialogo. E la Governance è cultura organizzativa, trasparenza e responsabilità. Se non se ne occupa l’HR, lo farà davvero qualcun altro? Viviamo peraltro in un paradosso: proprio mentre il mondo dovrebbe accelerare, assistiamo a un ripensamento delle strategie ESG in alcuni grandi gruppi. BlackRock riformula, ExxonMobil rallenta. E intanto la polarizzazione politica e la pressione degli azionisti più tradizionali mettono in pausa molti slanci. Ma è proprio adesso che l’HR deve tenere viva la fiamma. Perché la sostenibilità non è una strategia: è una visione del mondo, fatta di micro-decisioni che modellano il modo in cui lavoriamo, guidiamo e collaboriamo. Come farlo? Inserendo indicatori ESG nei sistemi di performance. Facendo del benessere organizzativo una voce nei board meeting. Formando manager a gestire dilemmi etici, non solo KPI. In breve: spostando il baricentro da “facciamo vedere che siamo sostenibili” a “diventiamo sostenibili, davvero”. E non è solo teoria. Patagonia, per esempio, ha integrato la sostenibilità nella propria cultura HR, con flessibilità, supporto alla genitorialità e coinvolgimento attivo dei dipendenti. Unilever lega gli obiettivi ESG alla retribuzione dei manager: se vuoi il bonus, non basta vendere di più. Enel investe nella formazione su questi temi, non come corso obbligatorio, ma come leva strategica. IKEA lavora da anni sull’equilibrio di genere e sull’ascolto interno come strumenti di trasformazione. Tutto questo ci porta al cuore del tema: la relazione tra HR, CEO e Board. Troppo spesso sembrano tre condomini che condividono l’ascensore ma non si salutano. Eppure, è ora di riscrivere questo triangolo. L’HR deve essere coinvolto nei processi strategici fin dall’inizio. Il CEO deve smettere di considerarlo un reparto di supporto e iniziare a vederlo come co-pilota del cambiamento. Il Board deve comprendere che la cultura, il benessere e l’inclusione non sono fronzoli, ma asset competitivi. Abbiamo bisogno di passare dal poster alla pratica. Quelle attività HR che una volta venivano considerate “nice to have” – come la DEI, le survey sul clima, i percorsi di ascolto – oggi fanno davvero la differenza. Perché le nuove generazioni scelgono dove lavorare in base a valori. Gli investitori guardano agli ESG per valutare i rischi. E i clienti premiano le aziende che trattano bene le persone, dentro e fuori. Per concludere: se l’organizzazione è una squadra di calcio, l’HR non è il massaggiatore che entra in campo quando qualcuno si fa male. È il direttore sportivo che seleziona il talento, costruisce lo spogliatoio e definisce il gioco con l’allenatore. Oppure, se preferite il cinema, non è il tecnico delle luci: è il produttore esecutivo che tiene insieme cast, copione e pubblico. E quando il film parla di sostenibilità, inclusione e impatto, serve che sia un blockbuster. Non un cortometraggio da festival di nicchia. La funzione HR è oggi l’unico vero connettore sistemico tra strategia, cultura, persone e impatto ESG. Ma per giocare davvero questo ruolo, deve alzare la voce, entrare nel cuore delle decisioni, sfidare lo status quo. Serve una nuova alleanza con CEO e Board: non più solo esecutori, ma co-architetti del futuro. Perché se vogliamo un mondo più sostenibile, equo e prospero, dobbiamo iniziare da chi ha il potere – e il dovere – di progettare organizzazioni più umane. E se non lo fa l’HR… allora chi? I cambiamenti culturali non si implementano. Si incarnano!
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