
Catechisti Diocesi Di Como
May 19, 2025 at 05:12 PM
VI domenica Tempo di Pasqua anno C
Domenica 25 maggio 2025
Michele Marongiu
Continuiamo ad ascoltare le parole che Gesù rivolge ai suoi apostoli durante l’ultima cena. Parole d’addio, sembrerebbero. Lo sono, ma in modo insolito: un addio sì, ma senza separazione, un commiato senza però distacco, che inaugura anzi una nuova e sorprendente modalità della sua presenza accanto a noi. L’argomento tocca da vicino le nostre esistenze di cristiani del terzo millennio, così lontani nel tempo e nello spazio dall’uomo di Nazaret. Eppure, il vangelo ci svela che possiamo sperimentare una sua vicinanza addirittura maggiore di quella che vissero Pietro e i suoi compagni.
Un amore ben fondato
«Se uno mi ama…» (Gv 14,23). Basterebbe già questo brandello di frase a immettere nuova vita nel nostro rapporto personale con colui che la pronuncia. Quello che stiamo seguendo è un Dio che chiede innanzitutto di essere amato. Non a caso l’unica domanda che il Signore risorto rivolgerà a Pietro sarà proprio: «Mi ami, tu?». Una richiesta per noi niente affatto scontata. Spesso, infatti, il nostro rapporto con Gesù si fonda su altre motivazioni, come il bisogno di ottenere la sua protezione, la paura di perdere la salvezza, l’attaccamento a una fede tradizionale ricevuta in famiglia. Gesù ci riporta invece alla semplicità di una relazione di amore reciproco con lui, priva di tornaconti e secondi fini, perché, come scriverà Paolo, l’amore non cerca mai il suo interesse. Come far nascere questo rapporto così vivo, reciproco, pieno di affetto con Cristo? S. Agostino rispondeva così: «Cerca per l’uomo il motivo per cui debba amare Dio e non troverai che questo: perché Dio per primo lo ha amato» (Discorsi, 34). L’amore verso Dio è una risposta che nasce spontanea in noi, senza bisogno di particolari sforzi, quando ci scopriamo amati da lui, quando sappiamo riconoscere e custodire nella memoria tutti quei momenti in cui abbiamo percepito e sperimentato la certezza del sua predilezione per noi.
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola» (Gv 14,23), continua, Gesù, e subito capiamo che l’amore di cui parla non è solo un’emozione, non è per niente sentimentalismo. Si esprime piuttosto nell’osservare e mettere in pratica i suoi insegnamenti che, come sappiamo, pongono al cuore della legge l’amore per Dio e per il prossimo. In poche parole, l’affermazione di Gesù si potrebbe riassumere così: «Se mi amate, amatevi anche voi». Egli si comporta come un padre che non chiede nulla per sé, ma che desidera soltanto che i suoi figli vivano uniti dall’amore.
Essere tempio
«…e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Non è solo una vicinanza quella che Gesù promette a coloro che lo amano, è un’inabitazione, una sua dimora stabile e permanente in noi. Dio abiterà in noi, una promessa, questa, che comprendiamo meglio quando leggiamo il brano dell’Apocalisse nella seconda lettura di questa domenica. Elevato dall’angelo sulla vetta di un monte Giovanni contempla la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo: è meravigliosa, dalla pianta perfettamente quadrata di colossali misure, ogni elemento che la compone è un simbolo che esprime bellezza divina. Un particolare però potrebbe sconcertarci: «In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» (Ap. 21,22). È una novità assoluta: la nuova Gerusalemme, la Chiesa, non ha più bisogno del tempio sacro, perché ora la presenza dei Signore è pienamente svelata, in ciascuno di noi prende dimora il Dio trinitario, pienezza di ogni cosa.
Una pace invincibile
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27).
Sapevamo che Gesù era un uomo sereno e gioioso, eppure queste parole ci sorprendono: non è da tutti promettere la pace quando sai che quelli che hanno deciso di ucciderti stanno per arrivare. Ma è proprio questa la novità: la pace che il Signore ci trasmette è diversa da quella che intendiamo di solito. Il mondo chiama “pace” quei momenti – rarissimi, diciamolo - in cui tutto va bene, c'è la salute, poche preoccupazioni, abbiamo scampato un pericolo, ci troviamo in un eremo per una pausa di tranquillità. O, peggio, il mondo chiama pace la mera assenza di guerra. Quella di Gesù invece è una pace che si può possedere anche in mezzo a dolori, pericoli, alla barca che fa acqua, nelle affannate corse quotidiane e perfino davanti alla morte, come i martiri ci hanno stupendamente dimostrato. Pace interiore che sorge in noi quando ci fidiamo fino in fondo di Dio. Pace e fede, infatti, camminano insieme. Il cardinale Martini raccontava di un incontro, da lui giudicato “straordinario”, con una donna conosciuta durante una visita pastorale nella bassa milanese. Malatissima, stava rattrappita dall’artrosi nel letto. Alla sua domanda su come andava la salute rispose, in dialetto: «Alla mia maniera sto bene». Parole toccanti. Poteva lamentarsi di tutto, invece era in pace, contenta, prendeva bene le vicende della vita, abbandonata “alla sua maniera” nelle mani di Dio.