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Canale di comunicazione con i catechisti della diocesi di Como
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8 giugno 2025 SOLENNITA’ DI PENTECOSTE Loretta e Riccardo Speziale Questo brano di Vangelo offre diversi spunti per riflettere sulla vita familiare e di coppia. La Pentecoste ci ricorda che lo Spirito è in noi e, tramite Lui, anche il Padre e il Figlio sono in noi: non siamo soli nell’avventura del matrimonio. Con lo Spirito Santo, il matrimonio diventa un’alleanza, un sacramento, un cammino di santità, il cui fine ultimo è arrivare insieme alla gloria della vita eterna. È il dono più prezioso effuso sulla nostra relazione, sulla nostra coppia, immagine vivente della Santissima Trinità. Gesù promette ai suoi discepoli l’invio del Paràclito, lo Spirito Santo, che insegnerà e ricorderà tutto ciò che Egli ha detto. Una promessa che ci invita a riconoscere la Sua presenza nelle nostre relazioni. “Paràclito” significa “consolatore” o “avvocato”. Nella vita familiare, lo Spirito Santo può essere visto allora come colui che guida, consola e sostiene nei momenti di difficoltà. Gesù dice: “Lo Spirito vi ricorderà…”. Quanto è importante la memoria! A volte la nostra è una memoria ferita: abbiamo ricordi dolorosi che ci fanno soffrire e condizionano il nostro agire. Lo Spirito allora trasforma la nostra memoria e la conduce al “Memoriale” dell’Eucaristia, cioè al ricordo vivo dell’amore di Gesù per noi. Gesù sottolinea l’importanza dell’amore come fondamento dell’osservanza dei suoi comandamenti. L’amore non è fatto di sole parole, ma è qualcosa di concreto che cambia la vita. Non è solo un sentimento, ma coinvolge la volontà. In coppia e in famiglia si traduce nell’impegno reciproco a valorizzare la presenza di Dio anche nelle piccole cose, nei gesti quotidiani di attenzione, rispetto e cura. La Pentecoste ci invita a rinnovare la nostra apertura allo Spirito Santo, riconoscendo la Sua azione nelle nostre vite e relazioni. In famiglia e nella coppia, questo significa lasciarsi guidare nella quotidianità, primo passo per vivere una vita familiare piena e gioiosa. Le parole che Gesù rivolge ai discepoli sono, allo stesso tempo, dolci e determinate e contengono la promessa della presenza dello Spirito Santo, che rimarrà per sempre. È Dio stesso che prende dimora nel cuore di chi ama: una Presenza viva che guida, consola, educa all’amore reciproco, e che aiuta a superare crisi, fatiche, incomprensioni. Lo Spirito ci ricorda le parole di Gesù, soprattutto quando ci sentiamo stanchi o scoraggiati. Nella vita coniugale e familiare, questa “memoria” dello Spirito ci orienta: ci riporta all’essenziale, ci educa alla tenerezza, alla pazienza, al servizio. Amarsi davvero è già un modo di evangelizzare. Ogni coppia, ogni famiglia, nel proprio cammino vive momenti di bellezza e gioia, ma anche momenti di buio. L’invocazione alla luce dello Spirito diventa allora richiesta di chiarezza nelle incomprensioni, di verità quando i cuori si fanno opachi o duri. Diventa orientamento quando si è smarrita la direzione. Lo Spirito è invocato come “Padre dei poveri” proprio perché sa entrare nelle nostre povertà, senza giudicare, trasformandole. È quel respiro buono che entra tra due persone e scioglie le rigidità, porta sollievo nei silenzi pesanti, insegna a perdonarsi senza la pretesa di avere sempre ragione. Certo, anche la relazione di coppia vive le sue stagioni, e ci sono momenti in cui è necessario impegnarsi per mantenere vivo l’amore, quando ci si sente stanchi, soli o incompresi. Lo Spirito è chiamato ad essere un “rifugio a due”, un luogo interiore dove la coppia può ritrovarsi, riposare, ricominciare. Ci indica la strada per “lavare le parole dure”, riattivare la comunicazione spenta, versare balsamo sulle ferite, rendere di nuovo tenero ciò che si era indurito. Ci aiuta a riallinearci, a riprendere la rotta, come un vento che riorienta le vele della nostra relazione dopo una tempesta o una bonaccia. Invocare lo Spirito ci trasforma. Non è solo un gesto di fede, ma un atto d’amore: significa riconoscere che l’altro non è qualcosa da possedere, ma un mistero da amare con l’aiuto di una Presenza più grande. È una presenza che ci chiama anche al silenzio davanti al mistero. Non fare, non dire: semplicemente essere presenti, come coppia o famiglia, davanti a Dio che abita in mezzo a noi. Un gesto semplice: una preghiera a due, uno sguardo grato, un “grazie” detto con il cuore. La Sequenza allo Spirito Santo diventa una preghiera che risuona nella vita domestica, una forza invisibile che sostiene il perdono, la pazienza, la compassione, la pace nelle differenze. Diventa fonte di comunione, forza e guarigione: esattamente ciò di cui ogni relazione profonda ha bisogno per durare e crescere. Ogni coppia, ogni famiglia, ha bisogno di una “personale Pentecoste”: un momento in cui aprirsi nuovamente alla grazia, lasciarsi toccare, rinnovare. Lo Spirito è il respiro di Dio che rimette in moto il cuore.

DOMENICA 15 GIUGNO 2025 SOLENNITA’ DELLA SS: TRINITA’ Paola e Michele Casartelli Dopo la domenica di Pentecoste siamo ritornati nel tempo ordinario, ma questo brano del Vangelo di Giovanni, per la solennità della SS. Trinità, continua la narrazione dello straordinario discorso di Gesù agli undici apostoli che sono rimasti con lui nel cenacolo, quel lungo discorso di cui abbiamo già sentito altri brani durante il tempo di Pasqua. Questa domenica ascoltiamo un brano fondamentale dove Gesù parla della relazione tra Lui Figlio, il Padre e lo Spirito Santo. Qui Gesù annuncia di nuovo la venuta dello Spirito Santo; ne ha già parlato più volte quella sera, ma questa volta è più chiaro che il Paraclito, il consolatore, non è un supplente, o un sostituto, ma è Dio stesso, e che quello che annuncerà non è niente di nuovo, ma è quello che Gesù ha già detto, ovvero la parola del Padre. Ma questa parola gli apostoli ancora non possono capirla del tutto, non possono portarne il peso. In questo passo Giovanni usa ben dieci verbi al futuro per indicare l’opera dello Spirito Santo. Oggi sappiamo che questo futuro non si è ancora realizzato pienamente, e che lo Spirito Santo è ancora in azione tra di noi; tuttavia, soprattutto nel giubileo che stiamo vivendo, è bene osservare come le parole di Gesù non permettano dubbi sull’esito finale di questa guida: come “Pellegrini di Speranza” siamo chiamati a guardare oltre le difficoltà presenti, confidando nella promessa di salvezza e nella presenza amorevole della Trinità nella nostra vita. Gesù dice: «Quando verrà lui, Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità». Il verbo “guidare” qui è molto importante, è la prima volta che Gesù lo usa in questo lungo discorso; il messaggio è molto chiaro: lo Spirito Santo è l’unica guida verso «tutta la verità», sta a noi lasciarci guidare in questo pellegrinaggio. Quando noi come genitori, insegnanti, educatori, accompagnatori, ci troviamo ad essere guide per qualcuno, ricordiamoci innanzi tutto di lasciarci guidare dallo Spirito Santo prima di indirizzare gli altri. L’altra parola fondamentale è «verità»; a volte la verità ci sembra pericolosa, la temiamo più che cercarla, ma Gesù non lascia dubbi: lo Spirito Santo ci guida verso tutta la verità, che è già stata detta da Dio Padre prima della creazione, e che Gesù possiede pienamente. Un altro aspetto essenziale di questo discorso è che Gesù spiega ai suoi apostoli che non è solo. Il Padre, Il Figlio e lo Spirito Santo vivono una splendida relazione di amore. Il mistero della Trinità ci dice che non abbiamo un Dio solitario lassù in cielo, distante e indifferente. Lui è Padre e ci ha donato il suo Figlio, fattosi uomo; ci manda il suo stesso Spirito per essere ancora più vicino a noi, per aiutarci a portare i pesi della vita. E la stessa azione dello Spirito Santo, che Gesù promette, non è rivolta a dei singoli, ma a una comunità in relazione. Non siamo isole, possiamo vivere a immagine di Dio: aperti, bisognosi degli altri e bisognosi di aiutare gli altri. La realtà di tutti i giorni oggi ci porta a vivere delle relazioni molto affrettate e spesso finalizzate a risolvere problemi o scambiarsi informazioni necessarie; ma noi siamo chiamati a riprodurre nella nostra esistenza questo mistero di Amore. Se guardiamo alla Trinità abbiamo un modello per la vita dei singoli, delle famiglie, delle parrocchie e della Chiesa; un modello che ci parla certo di unità, ma anche di diversità, pluralismo, accoglienza dell'altro e collaborazione con gli altri… Per vivere veramente la comunione non dobbiamo essere tutti uguali e pensarla allo stesso modo, ma se ognuno scopre la propria unicità, il proprio linguaggio, e lo mette a servizio dell'armonia dello Spirito potremo farci guidare insieme su questo cammino. Dobbiamo ricordarci di guardare il cielo; altrimenti ci dimentichiamo di essere parte di un universo sognato e voluto da Dio; ci dimentichiamo che la meraviglia di Dio è in atto; ci dimentichiamo che mentre Dio ci creava, già ci amava.

1 giugno 2025 SOLENNITA’ DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE Enrico e Alessia Maccianti Gesu’, mentre ricollega la sua manifestazione alla storia passata” Così sta scritto: “Il Cristo patirà…” ,annuncia la storia futura: dice ai discepoli che li inviera’ nel mondo e che mandera’ loro lo Spirito Santo. Per la conversione dell’uomo lo studio delle scritture non è sufficiente, perché la Parola di Dio non è rimasta incisa sulla pietra, ma il Verbo si è fatto carne in Cristo, morto e risorto. Dio entra per amore gratuito e misericordioso nella storia di ciascuno di noi. L’ascensione ci dice non solo che siamo fatti per l’eternità, ma che siamo fatti per essere uomini e donne nella vita eterna. Non è la stessa cosa. E’ molto di piu’. Tutto ciò che siamo restera’. Il nome che abbiamo su questa terra sara’ il nostro nome nell’eternita’ di Dio. Siamo chiamati ad un destino bello, ad essere cittadini del cielo, ma già da qui possiamo sentire l’abbraccio senza fine tra cielo e terra, chiamati a costruire ponti, come figli riconoscenti all’amore di un Padre che non disattende le sue promesse , ma ci chiede di restare in città finché “non siate rivestiti di potenza dall’ alto”, di “ dimorare in Lui”, qui e ora. Gesu’ vuole porre un gesto che esprime la fine della sua missione sulla terra e dà il via alla missione della sua Chiesa. Cristo risorto è d’ora in poi il luogo della presenza di Dio nel mondo. “Con grande gioia stavano sempre nel tempio lodando Dio” La gioia che invade gli apostoli nel ritornare a Gerusalemme mostra chiaramente come essi siano gia’ raggiunti e mandati dalla potenza della nuova presenza di Cristo risorto nello Spirito Santo. Egli non ci abbandona, si stacca e viene portato in cielo, con la benedizione del Signore tutto finisce nella gioia. “Ed essi si prostrarono davanti a lui…” Questo Vangelo termina con un omaggio di adorazione. Per l’evangelista Luca la storia di Gesù si chiude in preghiera. Vorremmo terminare questo commento soffermandoci proprio sulla preghiera: Gesu’ ci dice: “ Quando due o piu’ sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro…”. Questa Parola ci aiuta a pregare singolarmente, in coppia, nella comunità cristiana, in famiglia, a sentire che Lui è con noi, in noi. Impariamo a rivolgerci al Padre accostandoci alla preghiera e calandola nella concretezza della vita quotidiana; così la preghiera potrà diventare rendimento di grazie per ciò che accade ogni giorno in famiglia, piuttosto che la preghiera di intercessione per le persone più care, preghiera di perdono se qualcosa non ha funzionato, continuazione della Eucaristia nella comunità vissuta la domenica all'interno delle nostre case … E allora la vita si fa preghiera!, Gesù continua a benedirci con le mani alzate. Alcune volte ci sentiamo poveri, perchè non riusciamo a trovare tempi lunghi per questi momenti, ma il tempo non è così importante, ciò che conta è collegare la preghiera alla vita, il nostro cuore sarà ricolmo di gioia piena, donandoci quella pace profonda capace di resistere alle prove più dure della vita. Pellegrini di speranza, nell’attesa fiduciosa di cieli nuovi e di una terra nuova.

VI domenica Tempo di Pasqua anno C Domenica 25 maggio 2025 Michele Marongiu Continuiamo ad ascoltare le parole che Gesù rivolge ai suoi apostoli durante l’ultima cena. Parole d’addio, sembrerebbero. Lo sono, ma in modo insolito: un addio sì, ma senza separazione, un commiato senza però distacco, che inaugura anzi una nuova e sorprendente modalità della sua presenza accanto a noi. L’argomento tocca da vicino le nostre esistenze di cristiani del terzo millennio, così lontani nel tempo e nello spazio dall’uomo di Nazaret. Eppure, il vangelo ci svela che possiamo sperimentare una sua vicinanza addirittura maggiore di quella che vissero Pietro e i suoi compagni. Un amore ben fondato «Se uno mi ama…» (Gv 14,23). Basterebbe già questo brandello di frase a immettere nuova vita nel nostro rapporto personale con colui che la pronuncia. Quello che stiamo seguendo è un Dio che chiede innanzitutto di essere amato. Non a caso l’unica domanda che il Signore risorto rivolgerà a Pietro sarà proprio: «Mi ami, tu?». Una richiesta per noi niente affatto scontata. Spesso, infatti, il nostro rapporto con Gesù si fonda su altre motivazioni, come il bisogno di ottenere la sua protezione, la paura di perdere la salvezza, l’attaccamento a una fede tradizionale ricevuta in famiglia. Gesù ci riporta invece alla semplicità di una relazione di amore reciproco con lui, priva di tornaconti e secondi fini, perché, come scriverà Paolo, l’amore non cerca mai il suo interesse. Come far nascere questo rapporto così vivo, reciproco, pieno di affetto con Cristo? S. Agostino rispondeva così: «Cerca per l’uomo il motivo per cui debba amare Dio e non troverai che questo: perché Dio per primo lo ha amato» (Discorsi, 34). L’amore verso Dio è una risposta che nasce spontanea in noi, senza bisogno di particolari sforzi, quando ci scopriamo amati da lui, quando sappiamo riconoscere e custodire nella memoria tutti quei momenti in cui abbiamo percepito e sperimentato la certezza del sua predilezione per noi. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola» (Gv 14,23), continua, Gesù, e subito capiamo che l’amore di cui parla non è solo un’emozione, non è per niente sentimentalismo. Si esprime piuttosto nell’osservare e mettere in pratica i suoi insegnamenti che, come sappiamo, pongono al cuore della legge l’amore per Dio e per il prossimo. In poche parole, l’affermazione di Gesù si potrebbe riassumere così: «Se mi amate, amatevi anche voi». Egli si comporta come un padre che non chiede nulla per sé, ma che desidera soltanto che i suoi figli vivano uniti dall’amore. Essere tempio «…e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Non è solo una vicinanza quella che Gesù promette a coloro che lo amano, è un’inabitazione, una sua dimora stabile e permanente in noi. Dio abiterà in noi, una promessa, questa, che comprendiamo meglio quando leggiamo il brano dell’Apocalisse nella seconda lettura di questa domenica. Elevato dall’angelo sulla vetta di un monte Giovanni contempla la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo: è meravigliosa, dalla pianta perfettamente quadrata di colossali misure, ogni elemento che la compone è un simbolo che esprime bellezza divina. Un particolare però potrebbe sconcertarci: «In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» (Ap. 21,22). È una novità assoluta: la nuova Gerusalemme, la Chiesa, non ha più bisogno del tempio sacro, perché ora la presenza dei Signore è pienamente svelata, in ciascuno di noi prende dimora il Dio trinitario, pienezza di ogni cosa. Una pace invincibile «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). Sapevamo che Gesù era un uomo sereno e gioioso, eppure queste parole ci sorprendono: non è da tutti promettere la pace quando sai che quelli che hanno deciso di ucciderti stanno per arrivare. Ma è proprio questa la novità: la pace che il Signore ci trasmette è diversa da quella che intendiamo di solito. Il mondo chiama “pace” quei momenti – rarissimi, diciamolo - in cui tutto va bene, c'è la salute, poche preoccupazioni, abbiamo scampato un pericolo, ci troviamo in un eremo per una pausa di tranquillità. O, peggio, il mondo chiama pace la mera assenza di guerra. Quella di Gesù invece è una pace che si può possedere anche in mezzo a dolori, pericoli, alla barca che fa acqua, nelle affannate corse quotidiane e perfino davanti alla morte, come i martiri ci hanno stupendamente dimostrato. Pace interiore che sorge in noi quando ci fidiamo fino in fondo di Dio. Pace e fede, infatti, camminano insieme. Il cardinale Martini raccontava di un incontro, da lui giudicato “straordinario”, con una donna conosciuta durante una visita pastorale nella bassa milanese. Malatissima, stava rattrappita dall’artrosi nel letto. Alla sua domanda su come andava la salute rispose, in dialetto: «Alla mia maniera sto bene». Parole toccanti. Poteva lamentarsi di tutto, invece era in pace, contenta, prendeva bene le vicende della vita, abbandonata “alla sua maniera” nelle mani di Dio.

Domenica 16 febbraio 2025 Sesta domenica del T.O. Don Silvio Bellinello Nelle letture di questa sesta domenica del tempo ordinario veniamo provocati da un messaggio chiaro che diviene tema comune e spunto di riflessione per la nostra vita da discepoli. Benedizione o maledizione sembrano essere gli accenti che ci vengono proposti. E’ il mistero della libertà dell’uomo e della docilità o meno del cuore umano. Lasciamoci guidare dalla Parola e chiediamo il dono grande di lasciarci scalfire da essa. La prima lettura tratta dal libro del profeta Geremia, ci presenta il grande tema della libertà umana. Il Signore attraverso il profeta richiama la conversione da tutto ciò che è contrario alla grazia: «maledetto l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne il suo sostegno…». E’ la radice del male, dell’uomo illuso che non ha bisogno di Dio, che pone le sue forze in se stesso. Lo stesso profeta, nella seconda parte del brano riporta le coordinate benevole per un’esistenza piena e sicura :«Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. E’ come un albero piantato lungo corsi d’acqua… » Gli orizzonti che questi pochi versetti ci raccontano ci mostrano prospettive differenti. Ad ognuno di noi spetta scegliere su cosa o su chi fondare la propria esistenza. La nostra stessa vita ci racconta nel suo dispiegarsi che fondarsi su sè stessi porta ad un fallimento finale che ci lascia tristi e sconsolati. Se guardiamo alla seconda lettura ci accorgiamo che l’apostolo Paolo scrivendo alla comunità di Corinto scrive in verità anche a noi, scrive a tutti, soprattutto a coloro che fanno risuonare in loro la Parola. Il suo messaggio, in continuità con il brano di domenica scorsa, va all’essenziale: se Cristo non è risorto vana è la fede del discepolo e inutile la predicazione della Parola. Anche questa provocazione apre al mistero della libertà umana, fidarsi o no della Parola che ci raggiunge, viverla con la curiosità di comprendere che reazione produce nel cuore dell’uomo, accoglierla per riscoprirsi persone rinnovate e inondate dalla presenza consolante di Dio. Comprendere o almeno intuire il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo diviene per il discepolo la priorità della propria esistenza. Il panorama che si apre davanti a noi è differente a seconda di quale finestra del vivere umano apriamo, sempre l’apostolo ci ricorda che: « Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti». Una verità iscritta da Dio e che se accolta è capace di cambiare il cuore dell’uomo. Il brano del vangelo di Luca che ci viene proposto è una versione più breve delle beatitudini proposte da Matteo. L’evangelista aggiunge poi l’atteggiamento contrario alle salutari beatitudini con l’affermazione – guai a voi -, un comportamento che porta nella direzione opposta a quella che il Signore ci chiede, che fa dell’uomo stesso il proprio Dio. Le beatitudini aprono l’orizzonte di comunione con il Signore, innestano nella vita e nelle dinamiche umane nuova linfa e nuova forza. Tengono aperto il cuore alla presenza di Dio e al suo agire. I “guai” pronunciati da Gesù divengono monito per una reale conversione del cuore e una purificazione della carità. Mi chiedo con voi: quanto ho il desiderio di convertirmi realmente? Cosa faccio di concreto per progredire nel cammino di santità che mi è stato donato fin dal mio battesimo? Sappiamo bene che non bastano i buoni propositi e le pie intenzioni. Occorrono gesti concreti che nascono dalla determinazione umana e soprattutto dalla grazia di Dio che ci fanno dire di sì a ciò il Padre desidera per noi e no a tutto ciò che gli è contrario. In questo tempo giubilare riproponiamo il nostro sì al Signore, scegliamo un impegno preciso da vivere nella fedeltà e in risposta al suo amore. Lasciamoci consigliare dalla “strana e benefica” logica delle beatitudini. Logica comprensibile solo se la rileggiamo nella figura del Cristo, il beato per eccellenza, Colui che, uguale al Padre, ci mostra come vivere pienamente la nostra umanità. Sempre il testo delle beatitudini ci fa considerare la realtà del cielo, ci ricorda che siamo fatti non solo per questa terra ma per quel paradiso pensato da Dio da sempre per ognuno di noi. A noi il compito di raccontare con la vita questa speranza che diviene certezza nella fedeltà a Dio, a noi la missione di cambiare e convertire la nostra esistenza riconoscendoci beati e benedetti da Dio Padre, a noi il desiderio di chiedere ogni giorno sempre di più di riscoprire la bellezza della santità battesimale, per ricevere quell’eredità sola che vale la pena ottenere: la vita eterna in una comunione piena con Dio.

Domenica 2 marzo 2025 OTTAVA DOMENICA del T.O. Don Silvio Bellinello Ci ritroviamo insieme nuovamente per lasciarci condurre dalla Parola di Dio che nella celebrazione domenicale ci conduce all’incontro con Cristo. In questa ottava domenica del tempo ordinario apriamo il cuore a ciò che la Parola ci regala per poi impegnarci a viverla nella vita di ogni giorno. Il leitmotiv che intesse la celebrazione richiama le immagini dell’albero e dei frutti. Come sempre lasciamoci “provocare” per rispondere con la coerenza della vita all’invito divino. La prima lettura ci fa incontrare un breve brano tratto dal libro del Siracide, pochi versetti che esprimono il modo sapiente con il quale vivere: «il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore». La parola che noi usiamo, anche nella sola logica umana, esprime un significato, ci racconta e ci pone credibili o no agli occhi di chi ci incontra. In una semplicità di figli siamo chiamati ad essere veri ed autentici, a fare la differenza nelle situazioni e nelle relazioni che viviamo. Una prima domanda che pongo a me e a voi è: che parole uso nelle relazioni con gli altri? Le mie parole cosa raccontano di me? Domande che si scrivono facilmente ma che se, colte nella loro pregnanza, diventano una reale occasione di conversione e di cambiamento. Tutta la vita del discepolo è chiamata a raccontare la logica del Maestro, volto del Padre, e la carità diviene il biglietto da visita con il quale ci si presenta all’altro. Anche la seconda lettura ha in filigrana lo stesso tema: «perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore». L’opera del Signore è raccontare e mostrare l’amore del Padre che sempre ci assiste, per dare conforto e forza a chi è scoraggiato… risuona la parola di Gesù: venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò (Mt 11,28) Quest’opera di vita diviene obbligo per il cristiano, per dare pienezza ad una vita che nel perdersi si guadagna. L’apostolo Paolo scrivendo ai Corinzi ricorda che il frutto del sacrificio di Cristo è la nostra vittoria, che il Frutto per eccellenza che si è offerto, ha prodotto per ognuno di noi un’eredità di felicità e di pienezza. Rimanere saldi lo si può vivere solo se ci fondiamo su Cristo, riconoscendo che anche la fatica, la croce, porta frutto e genera in noi vita nuova, solo se la viviamo con il Signore. Se guardo al vangelo di Luca che ci viene proposto lo trovo intriso della logica divina. Due espressioni di questo tema vengono proposte: la conversione personale e la fruttuosità delle opere o no. Spendo qualche riga per una riflessione sulla conversione personale. Con l’immagine che Gesù usa: «perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» ci ricorda che il giudizio non è mai lecito e che ognuno di noi porta motivo per cambiare qualcosa di se stesso. La logica che il Maestro propone pone il discepolo a guardare dentro di sé per scorgere ciò che va cambiato, con la grazia dello Spirito, e per convertire realmente il proprio vissuto. La domanda lecita è dunque: cosa devo cambiare in me? Quale trave dal mio ’occhio devo togliere? La seconda parte del vangelo lucano ci propone invece una riflessione cristallina sulle opere umane: «non vi è albero buono che produca frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca frutto buono. Ogni albero, infatti, si riconosce dal suo frutto». Ecco allora la riflessione che ci permette di camminare nella sequela a Gesù. Quali sono le opere che compiano? Perché le compiamo? Nella vita cristiana e nella sua coerenza, dono da chiedere sempre, dobbiamo svuotare il cuore da tutto ciò che lo appesantisce: orgoglio, pigrizia, superficialità, indifferenza, giudizio; atteggiamenti che minano qualsiasi tipo di comunione e di condivisione e che ci fanno chiudere in noi, ci rendono incapaci di essere in comunione con i fratelli e le sorelle che abbiamo vicino. L’anno giubilare che stiamo vivendo ci ripropone un grande antidoto a queste malattie, ci ricorda che la speranza cristiana riapre il cuore all’incontro con Cristo e in Cristo ai fratelli che abbiamo accanto, cito dalla bolla di indizione del giubileo: «abbiamo bisogno di abbondare nella speranza per testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta» (SnC 18) Sappiamo che seguire il Signore non è facile, ma Egli ci assicura la sua presenza e il suo sostegno. A noi il compito di camminare speditamente dietro a Lui per vivere la freschezza e la bellezza della vita piena. Buon cammino di appartenenza al Signore.

https://youtu.be/_429xpUYxkQ?si=5fj0kMNEPdbo4q-n

Domenica 23 febbraio 2025 SETTIMA DOMENICA del T.O. Don Silvio Bellinello La parola amare contiene in sé molteplici significati ed è un termine che può essere riletto in modi diversi, la provocazione che le letture ci offrono ci aiuta a comprendere cosa significa amare nella logica cristiana. Lasciamoci come sempre interrogare dalle letture che ci vengono offerte per questa settima domenica del tempo ordinario. Un tempo quotidiano che è permeato dalla presenza di Dio e trova luce, forza e significato dalla sua presenza amorevole. La prima lettura, tratta dal primo libro di Samuele, ci presenta in uno scenario di battaglia e di avversità, una logica di amore che Saul vive nei confronti del consacrato del Signore. Una consapevolezza di rispetto presso l’unto del Signore e una logica che va oltre quella umana. La libertà, lo vedremo più volte, in queste letture, viene a confrontarsi con la logica umana e quella divina. Saul sceglie saggiamente di vivere quella logica divina, risparmiandola vita del consacrato del Signore. Ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni e queste influiscono o no sulla libertà propria e su quella degli altri. Il salmo responsoriale che la liturgia ci offre ci aiuta a ricordare chi è Dio e ci ricorda che Egli non condanna mai la persona, ma denuncia gli atti sbagliati che si compiono: il Signore è buono e grande nell’amore. L’accento è posto su quello che Dio è, con la prospettiva che l’agire umano possa essere ad immagine e somiglianza di quello divino. Anche la seconda lettura ci mette davanti agli occhi la dualità della libertà individuale: «il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Com’è l’uomo terreno cosi sono quelli della terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti». Ad ogni discepolo spetta scegliere se vivere come creature preoccupate solo delle cose della terra oppure vivere la logica liberante del vangelo che ci da uno sguardo differente sulla vita. Potrei chiedermi con voi: chi ci incontra scopre qualcuno innamorato di Dio e impegnato a rendere visibile il Regno di Dio nell’oggi? In questo anno giubilare diviene imperativo vivere, o tentare di raccontare, la Speranza che è Cristo Gesù. Abbiamo bisogno di mostrare una Chiesa innamorata del suo Signore e appassionata nel raccontare questa scoperta a tutti. Quest’arte dell’amare poi risulta essere un “mestiere impegnativo”. Voglio dare voce al brano evangelico di Luca che incontriamo: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Da' a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo… Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi». Una logica radicale che ci chiede cambiamento e conversione vera. Una vita rinnovata frutto della confidenza con il Signore e docilità alla sua Grazia. Questa misura in più, lo sappiamo bene, non è frutto di una nostra bravura, ma è dono della grazia di Dio che opera nei cuori di coloro che sono aperti alla Verità! Disarmante è la logica evangelica: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso», via il giudizio, no alla condanna, si al perdono, si al dono di se stessi. Tutto per raccontare l’evento meraviglioso della vita in Cristo! Mi chiedo e vi chiedo: chi devo perdonare? Prego mai per coloro che mi hanno fatto del male? Cosa faccio per appianare le divergenze prima che diventino divisioni o limiti umanamente invalicabili? L’esperienza che apre a questa logica è quella del perdono, ricevuto, come dono immeritato, da Dio Padre e restituito nella carità a coloro che ci hanno ferito e tradito. Che bella la ferità medicata e curata col balsamo del perdono, che bella la guarigione del cuore che trasforma in tesoro prezioso l’esistenza umana. Anche qui mi chiedo che rapporto ho con il sacramento della Riconciliazione? Quanto ho compreso che da questa esperienza di Grazia, il perdono del Padre, scaturisce forza, gratitudine e impegno per non sciupare la vita? Concludendo possiamo chiedere insieme il dono di uno sguardo semplice, per riscoprire la presenza di Dio Padre nella vita quotidiana, per poter poi gioire di questa sua fedeltà. Amiamo allora come Egli ci chiede, lasciando andare tutto ciò che ci può ostacolare nella sequela a Gesù. Buon cammino nella sfida dell’amare divinamente!