Tribal Cabaret: un rito cartaceo-sonoro nel cuore dell'underground Nel variegato e inafferrabile universo delle fanzine, oggetti editoriali nati ai margini e fioriti nell’ombra, Tribal Cabaret si distingue come un manufatto sensoriale, una creatura ibrida che fonde parola, immagine e suono in un gesto editoriale totale. Se la fanzine è per definizione uno strumento di resistenza culturale — autoprodotta, anticonformista, refrattaria ai circuiti canonici — Tribal Cabaret ne incarna l’essenza più sofisticata e rituale. Ogni numero non è solo un compendio di visioni, scritture oblique e grafismi incendiari, ma si completa con un elemento anacronistico e straordinariamente evocativo: una audiocassetta originale, curata in perfetta sinergia con il contenuto cartaceo. Questo supporto analogico, reliquia del tempo pre-digitale, non ha funzione accessoria bensì rituale: è colonna sonora, eco e controcanto dell’universo tribale messo in scena sulla carta. La cassetta diventa così oggetto totemico, simbolo di un’esperienza multisensoriale che va letta, ascoltata e, in un certo senso, abitata. Nel suo impianto, Tribal Cabaret si presenta come un vero e proprio “teatro da camera dell’anima urbana”: collages psicotropi, testi che oscillano tra la furia poetica e la contemplazione metropolitana, frammenti di cultura outsider, antropologia visionaria e narrazioni sonore che rifiutano le geometrie della comunicazione di massa. Ma è la compresenza della voce registrata — che sia musica, parola recitata o rumore creativamente organizzato — a completare l’incantesimo. L’oggetto-fanzine si trasforma in dispositivo sinestetico: un archivio vivente di pulsioni e visioni che rifiutano la linearità e invitano a una fruizione immersiva. Tribal Cabaret non si legge soltanto: si ascolta, si maneggia, si attraversa. È un atto editoriale alchemico, che restituisce dignità artistica e politica all’auto-produzione, e che trasforma ogni numero in un piccolo rituale tribale, un cabaret visionario fuori dal tempo.