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Rifugio musicale, dove recensioni, approfondimenti appassionati e racconti avvincenti sul mondo della musica prendono vita. Dalle leggende degli artisti alle ultime uscite, esploreremo insieme ogni sfumatura di questo affascinante universo sonoro.
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Piero Umiliani, il suonatore cosmico: ritratto di un avanguardista atipico Nel volume "Mr. Mah-na' Mah-na'. Piero Umiliani e la sua musica" (Bloodbuster Edizioni), Gianluca Tosi compone un'opera filologica di rara densità evocativa, un saggio che, pur nell'agile struttura divulgativa, dischiude un raffinato percorso entro la galassia sonora di uno dei più sfuggenti e polimorfi compositori del secondo Novecento italiano. Umiliani, figura al contempo liminare e centrale nella storia musicale del nostro Paese, si staglia come un autentico alchimista del suono, capace di distillare – con singolare perizia – elementi eterogenei: il jazz di matrice afroamericana, l’exotica mitteleuropea, la musica elettronica pionieristica e le atmosfere sinestetiche della library music. Tosi ne traccia un affresco critico ricco di suggestioni, evitando ogni cedimento all'aneddotica priva di rigore. Nato nel 1926 nella Firenze ancora imbrigliata dal retaggio littorio, Umiliani si forma in un contesto dove il jazz è quasi una lingua clandestina. Autodidatta ostinato, frequenta l’universo sonoro americano attraverso frequenze d’oltremare, assimilando le strutture armoniche di Ellington e Gillespie con reverente curiosità. Nonostante una laurea in giurisprudenza, il suo destino non poteva che essere musicale. A partire dagli anni Cinquanta, con l’avvento della ricostruzione postbellica e il progressivo smantellamento dei codici musicali tradizionali, Umiliani si inserisce nel contesto di un’Italia che guarda con fascinazione alle suggestioni d’oltreoceano. Le sue prime incisioni fondono dixieland, swing e accenti cinematografici, prefigurando già quella capacità mimetica che diverrà cifra stilistica dell'autore. Il 1958 segna il primo apice della sua carriera: con la colonna sonora de I soliti ignoti, Umiliani non solo legittima il connubio tra jazz e cinema italiano, ma inaugura una stagione feconda in cui l’autore si muove come mediatore tra linguaggi, traducendo l’anima urbana della penisola nel pentagramma delle note sincopate. Negli anni Sessanta e Settanta, Umiliani diventa un autentico demiurgo della musica applicata. L’istituzione del Sound Work Shop, il suo studio romano, gli consente un controllo totale sul processo creativo. Qui si addentra nei territori inesplorati della musica elettronica, facendo largo uso di sintetizzatori Moog e strumenti allora esoterici, che egli padroneggia con spirito sperimentale ma non privo di eleganza formale. La composizione di Mah Nà Mah Nà – divenuta, paradossalmente, suo emblema globale – è in realtà un divertissement sonoro nato per un documentario pseudo-scientifico sulla Scandinavia. Quel motivetto, apparentemente giocoso, racchiude però tutta la poetica umilianiana: un’estetica dell’ironia, un ludus sapiente, una semi-serietà che cela una profonda sapienza musicale. In questo saggio Tosi non si limita a restituire una biografia ordinata: la sua è una vera e propria cartografia del suono di Umiliani. La trattazione non indulge in facili cronologie, ma s’incardina su una tensione esegetica che intreccia analisi musicologiche, incursioni nei codici linguistici della musica per immagini e ricostruzioni socio-culturali. Le alterità identitarie dell’autore – le molteplici pseudonimie (Rovi, Zalla, Moggi) – non sono trattate come mere curiosità, ma come manifestazioni di una precisa strategia artistica: il moltiplicarsi delle maschere come risposta all’esigenza di navigare tra contesti sonori dissimili, dal porno soft-core all'erotismo onirico, dall'etno-jazz alla psichedelia. Tosi dimostra padronanza lessicale e rigore metodologico, ma mai a scapito della godibilità. La sua scrittura, erudita riesce a comunicare tanto al melomane quanto allo studioso, alternando acute letture semiotiche delle partiture a rievocazioni vivide del milieu produttivo e culturale in cui Umiliani operava. "Mr. Mah-na' Mah-na'" è un'opera che colma un vuoto critico annoso, riconsegnando al lettore l’immagine stratificata di un compositore che fu, a un tempo, artigiano, innovatore e visionario. Con sensibilità rarefatta e acribia analitica, Gianluca Tosi ci invita a riascoltare Piero Umiliani non come semplice autore di motivi leggeri, ma come intellettuale sonoro, capace di cogliere e restituire le vibrazioni più sottili di un’epoca in continuo divenire. Un libro necessario per chiunque voglia comprendere non solo la musica di Umiliani, ma anche il reticolo culturale che ha reso possibile – e sublime – il suo inconfondibile timbro.

Onde di simulacro: paesaggi sonori dalle distopie di Philip K. Dick L’ascolto di Ubikuitous si configura come un’esperienza liminale, un attraversamento sonoro degli interstizi tra realtà e simulacro, tra carne e circuito, tra anima e algoritmo. Edito dall’audace e visionaria Unexplained Sounds Network, il lavoro si presenta come un atto devoto e insieme profanatore, un tributo acustico ai paesaggi mentali di Philip K. Dick, maestro della distopia metafisica e indagatore dell’identità franta nell’era della replicazione tecnologica. La raccolta, che raduna compositori e sound artists d’avanguardia, non si limita a illustrare musicalmente le trame dickiane, ma le metabolizza, le rifrange e le reinventa in forma sonora. Si potrebbe dire che Ubikuitous non “illustra” Dick, ma “accade” come Dick: la sua materia è vibrazione instabile, atmosfera rarefatta, coscienza alterata. Ogni traccia si colloca come una variazione percettiva sul tema dell’allucinazione, della sorveglianza, della smaterializzazione del reale, tanto care all’autore di Ubik e Do Androids Dream of Electric Sheep?. I suoni – a tratti glaciali, altrove più tellurici – evocano ambienti urbani postumani, deserti cognitivi, frammenti di trasmissioni interrotte. L’elettronica impiegata non è mai decorativa, ma linguaggio autonomo, pensiero che si fa frequenza. È una musica che non accompagna, ma decompone; non intrattiene, ma interroga. Lo spettro timbrico si muove tra le frequenze basse di una paranoia industriale e le rare increspature melodiche che sembrano residui emotivi in un mondo disincarnato. Se Dick ha sempre scritto dalla soglia, nell’ansia della contaminazione ontologica tra l’umano e l’altro-da-sé, Ubikuitous opera sul medesimo crinale: un’opera che sfida la percezione, che chiede di essere ascoltata con l’orecchio interiore, con quel senso che avverte il perturbante oltre l’immediato. Ubikuitous è molto più di una semplice raccolta musicale. È un archivio acustico dell’ansia postmoderna, un affresco elettronico delle derive dickiane del presente, un ipertesto sonoro che risuona come un ammonimento: la realtà non è ciò che ci sembra, e la verità – se mai esiste – si cela tra le onde.

Nel cuore di “21 gr” scorrono le immagini che non vogliamo più vedere. Gaza dilaniata, l’umanità smarrita tra le macerie. L’arte urla dove le parole non bastano più: Stop war. Ogni pagina di questa fanzine pesa quei 21 grammi che, si dice, siano il peso dell’anima. E la nostra anima non può restare in silenzio davanti all’ingiustizia, al dolore, alla distruzione. Non possiamo anestetizzarci di fronte alla violenza che si ripete, identica, sotto bandiere diverse. Questo numero è una presa di posizione visiva ed etica. È uno spazio dove la creatività si fa resistenza. Dove il segno grafico diventa memoria, denuncia, speranza. “21 gr è contro ogni guerra.” Perché nessuna guerra è giusta. Perché ogni bomba cancella un futuro. Perché la pace non è un’utopia: è una scelta.

Nel firmamento del giallo classico, La serie infernale – titolo italiano del più noto The ABC Murders – rappresenta una delle prove più ingegnose della maestria narrativa di Agatha Christie. Hercule Poirot, investigatore dal raziocinio cristallino, si trova di fronte a una sfida inedita: un serial killer metodico e spietato semina il terrore seguendo l’ordine alfabetico, lasciando sul luogo del delitto un almanacco ferroviario come firma macabra. La trama, architettata con una precisione quasi geometrica, è un raffinato gioco di specchi, dove la prevedibilità apparente cela un disegno diabolico e profondamente personale. Il romanzo è narrato dal dottor Hastings, la cui prospettiva ingenua contrasta con la lucida acutezza di Poirot, contribuendo a mantenere alta la tensione narrativa. Oltre alla brillante costruzione del mistero, Christie esplora con discrezione ma efficacia i temi dell’identità, della vanità e dell’illusione, offrendo un affresco sottile della psicologia del crimine. Con la sua prosa sobria e il ritmo calibrato, l’autrice conduce il lettore attraverso un labirinto deduttivo che si risolve in un finale tanto logico quanto sorprendente. Un piccolo capolavoro del giallo d’ingegno: elegante, inquietante, irresistibile.