#musicadaleggere
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June 11, 2025 at 06:34 PM
Addio a Brian Wilson, architetto del sublime sonoro Si è spento Brian Douglas Wilson, all’età di 82 anni. Con lui scompare non soltanto un musicista, il Prometeo sonoro che, con i suoi Beach Boys, plasmò una nuova mitologia americana fatta di onde, sole, malinconia e armonie celestiali. Figura enigmatica e a tratti tragica, Wilson ha saputo fondere l’innocenza della giovinezza con la profondità emotiva dell’uomo tormentato, trasformando il pop in un’arte trascendente. Nato a Inglewood, California, nel 1942, Wilson divenne in breve tempo la mente creativa dei Beach Boys, guidandoli ben oltre i canoni del surf rock. Le sue doti compositive si dispiegavano con rara grazia nell’equilibrio tra semplicità melodica e arditezze armoniche, con una predilezione per modulazioni inaspettate e arrangiamenti orchestrali di una ricchezza inaudita. La sua sensibilità prodigiosa, tuttavia, conviveva con una vulnerabilità profonda. Le cicatrici dell’infanzia, la pressione della fama, le crisi psicotiche e una lotta incessante contro la depressione e le dipendenze segnarono il suo percorso, facendone una figura tanto luminosa quanto fragile, come un compositore romantico intrappolato nel corpo di un giovane californiano. Con l’uscita di Pet Sounds nel 1966, Wilson firmò una delle opere più influenti della musica contemporanea. Un concept album lirico, introspettivo, sinfonico: ogni brano è una miniatura psicologica, un moto dell’anima trasposto in suono. Seguirà, poco dopo, la titanica “Good Vibrations”: un brano decostruito e ricomposto in segmenti, come un'opera di architettura acustica. Non meno straordinario fu il progetto Smile, naufragato nel 1967 tra allucinazioni e incomprensioni, ma risorto, come una Fenice musicale, prima in forma antologica (The Smile Sessions, 2011) e poi nella rielaborazione solista del 2004 (Brian Wilson Presents Smile), opera della maturità e della riconciliazione interiore. Tre album imprescindibili dei Beach Boys: 1. Pet Sounds (1966) L’equivalente musicale di una tela impressionista, un capolavoro assoluto, da ascoltare come si osserva un tramonto destinato a non ripetersi. 2. The Smile Sessions (2011) Il grande incompiuto della musica popolare del XX secolo. In esso si respira l’ambizione di un’epica americana visionaria, tra frammenti barocchi, jazz pastorale e psichedelia liquida. 3. Sunflower (1970) Una gemma tardiva, spesso ingiustamente ignorata, dove la polifonia della band raggiunge una perfezione corale e dove si avverte il respiro maturo di un’umanità dolente ma riconciliata. Tre canzoni celebri da riscoprire: God Only Knows Una delle vette della musica occidentale del secondo Novecento: spirituale, tenera, ineluttabile. Good Vibrations Esperimento futurista travestito da hit pop. Don’t Worry Baby Di una dolcezza commovente, con le armonie che sembrano provenire direttamente dal cuore. Tre perle segrete da (ri)scoprire: The Warmth of the Sun (1964) Scritta all’alba della morte di Kennedy, questa ballata dal respiro lirico cattura l’essenza della perdita e della speranza in egual misura. This Whole World (1970) Un brano di due minuti in cui si alternano modulazioni tonali vertiginose e armonie che sembrano disegnare cerchi concentrici nell’etere. All I Wanna Do (1970) Visionaria e sognante, anticipa di decenni l’estetica shoegaze e chillwave. Brian Wilson ha inciso, con note e silenzi, un solco profondo nella memoria estetica del nostro tempo. La sua musica continuerà a vibrare, come le onde del Pacifico che tanto amava: eterne, mutevoli, inafferrabili. «I guess I just wasn’t made for these times»
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