Libreria Libridine Portici
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May 29, 2025 at 07:49 PM
11 luglio 2025   Sono seduta in questa stanza da ore. Il tempo scorre lento. In alto, una finestra piccolissima sembra rimpicciolirsi sempre di più. Ho mal di testa e gli occhi mi bruciano. Fa caldo. Continuano a ripetermi che ho ucciso un uomo. Ma non è vero. Mi chiamo Anna Badeschi, ho trent’anni. Quando ne avevo sedici sono stata vittima di un incidente. Da quel momento ho smesso di ricordare. E non provo più emozioni. Mi dissero che con il tempo sarei potuta guarire. Ma oggi riesco a ricordare solo fino a due giorni prima. Le emozioni, invece, non esistono più. Non sento paura, dolore, ansia, tristezza. Tutto rimbalza su di me, come su un vecchio tappeto elastico. Ma non mi dispiace. Credo che le emozioni siano sopravvalutate.   11 luglio 2011   «Sbrigati.» «Sono pronta.» La voce acuta di mio padre mi mette fretta. Devo muovermi se voglio arrivare puntuale alla lezione di pianoforte. Tra pochi giorni ci sarà il concerto e non posso permettermi di sbagliare. Non trovo lo spartito. Scavo tra le carte sparse finché lo stringo tra le mani. Mi avvicino alla porta, ma un trillo del telefono mi fa sobbalzare. Lo afferro e lo infilo in tasca. Non ho tempo per controllare chi mi abbia scritto. Mio padre è già in auto, il viso corrucciato, la ruga in mezzo alla fronte marcata, lo sguardo fisso. È un uomo chiuso, ma a modo suo dolce. Fa di tutto per starmi vicino e non farmi sentire troppo la mancanza della mamma, che se n’è andata quando ero solo una bambina. «Scusa.» Mi avvicino e gli do un bacio sulla guancia. La ruga si distende un poco. «Sai quanto è importante prepararsi bene. Non devi sottovalutare i tuoi impegni.» Ricomincia con la solita storia sulla crescita e la maturità. La ripete da sempre. Credo di averla imparata a memoria. Fingo interesse. Inizia a piovere. Vedo i goccioloni scorrere rapidi sui vetri e penso a quella sera. Quando lei è andata via. Era fredda e piovosa. Io ero a letto. Entrò, mi diede un bacio, mi sistemò la coperta e uscì. Non pensai che potesse andarsene davvero. Non lo immaginavo. La mattina dopo non la trovai in cucina. E poco dopo capii che non sarebbe più tornata. Non so perché abbia deciso di andarsene e lasciare mio padre. Ma per anni ho creduto che fosse colpa mia. Mi sbagliavo. Io non c’entro nulla. Il cielo è scuro e la visibilità scarsa. Guardo mio padre concentrarsi alla guida. Odia guidare sotto la pioggia. L’asfalto diventa scivoloso, le ruote possono slittare. Me lo ha spiegato tante volte. Mantiene calma e lucidità, come sempre. Ma poi, improvvisamente, tutto cambia. Una macchina ad alta velocità ci taglia la strada. Tutto si confonde. Grido. Ho paura. Sento che sta per succedere qualcosa di terribile e so che non posso evitarlo. Vorrei abbracciare mio padre, ma non ci riesco. Chiudo gli occhi. Mi lascio andare. Non cè altro che possa fare. Quando li riapro sono in ospedale, distesa su un letto. Intorno a me cè confusione, caos. Sembra che tutti stiano impazzendo. Provo ad alzarmi ma qualcuno mi ferma. Devo restare ferma. Gli occhi si chiudono di nuovo. Inizio a sognare. Sono in un luogo bellissimo, pieno di luce. Vorrei restare lì. Si sta bene. Ma poi qualcosa mi tira indietro, giù, nel mio corpo. Non so quanto tempo passi. Quando riapro di nuovo gli occhi, tutto appare strano, deformato. La stanza dell’ospedale è piccola e bianca. C’è il mio letto e accanto un altro, vuoto. Una donna si avvicina. «Ciao, ti sei svegliata, finalmente.» Immagino sia uninfermiera. Mi guarda come se fossi un mistero. Non capisco se è stupita in senso positivo o negativo. Dovrei chiederle qualcosa. Anche il suo sguardo sembra aspettarselo. Ma io non so cosa chiedere. La mia testa è vuota. Non ricordo nulla. E soprattutto non sento nulla. «Cosa è successo?» le chiedo. «Hai avuto un incidente con l’auto. Molto brutto. Abbiamo rischiato di perderti, ma per fortuna ce l’hai fatta.» Sorride. È felice. Ma qualcosa dentro di me non reagisce. Dovrei essere felice anche io. Invece le sue parole mi passano attraverso. «Ero sola?» Non so perché lo chiedo. «Il dottore ti spiegherà tutto.» Se ne va. Quello che mi colpisce di più è il vuoto. Nessuno sgomento. Nessuna frustrazione. Nessuna rabbia. Niente. Come se qualcuno avesse preso una gomma e cancellato tutto. Ricordi. Emozioni. Tutto.

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