
Solo Gesù salva
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Meditazioni bibliche per chi cerca Gesù, l'unica Via!
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*La vittoria e la pace* Nel passaggio del Vangelo di Giovanni (cap. 16) che meditiamo oggi, Gesù rivolge ai suoi discepoli parole che risuonano con una profondità teologica e un’intimità spirituale straordinarie. Egli annuncia un cambiamento radicale nel modo in cui si relazionerà con loro: non più attraverso similitudini, ma con una rivelazione aperta e diretta del Padre. Questo momento segna un punto di svolta, non solo nella comprensione dei discepoli, ma anche nella storia della redenzione. Gesù afferma: *"Vi ho detto queste cose in similitudini; l'ora viene che non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi farò conoscere il Padre"* (v. 25). Qui, Gesù sottolinea che la sua missione è rivelare il Padre. Non è venuto semplicemente per insegnare verità astratte, ma per condurre i suoi discepoli a una conoscenza personale e trasformante di Dio. Questo è il cuore del Vangelo: attraverso Cristo, il Padre si fa conoscere. La fede in Gesù non è un’adesione intellettuale a una dottrina, ma un incontro vivente con il Dio vivente. I discepoli rispondono con una confessione di fede: *"Ora sappiamo che sai ogni cosa e non hai bisogno che nessuno ti interroghi; perciò crediamo che sei proceduto da Dio"* (v. 30). Tuttavia, Gesù non si lascia trasportare dall’entusiasmo momentaneo dei suoi seguaci. Egli conosce il loro cuore e sa che la fede autentica sarà messa alla prova. Infatti, preannuncia: *"L'ora viene, anzi è venuta, che sarete dispersi, ciascuno per conto suo, e mi lascerete solo"* (v. 32). Questa è una previsione della loro futura dispersione durante la sua passione, ma anche una promessa: *"Io non sono solo, perché il Padre è con me"* (v. 32). In queste parole, troviamo un profondo incoraggiamento per la nostra vita cristiana. Gesù non promette ai suoi discepoli una vita priva di difficoltà. Al contrario, dice: *"Nel mondo avrete tribolazione"* (v. 33). La vita cristiana non è esente da prove, sofferenze o momenti di solitudine. Tuttavia, Gesù ci offre una pace che supera ogni comprensione umana: *"Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me"* (v. 33). La pace che Gesù dona non dipende dalle circostanze esterne, ma dalla sua presenza costante e dalla certezza della sua vittoria. Infine, Gesù proclama: *"Io ho vinto il mondo"* (v. 33). Questa è una dichiarazione potente e rivoluzionaria. La vittoria di Cristo sul mondo non è semplicemente una promessa futura, ma una realtà già compiuta. Egli ha vinto il peccato, la morte e il potere delle tenebre attraverso la sua croce e risurrezione. Questa vittoria è la base della nostra fede e la fonte della nostra speranza. Come discepoli di Cristo, siamo chiamati a vivere nella luce di questa vittoria. Anche quando siamo dispersi, quando affrontiamo tribolazioni o quando ci sentiamo soli, possiamo fare affidamento sulla presenza del Padre e sulla pace che Cristo ci dona. La nostra fede non è fondata sulle nostre forze, ma sulla vittoria di Colui che ha vinto il mondo. In conclusione, questo passaggio ci invita a guardare oltre le nostre circostanze e a fissare lo sguardo su Gesù, il rivelatore del Padre e il vincitore del mondo. La sua pace è il nostro rifugio, la sua vittoria la nostra certezza. Che possiamo vivere ogni giorno nella consapevolezza che, in Lui, abbiamo già vinto. _Meditazione di Giovanni 16:25-33_

*L'unità e la gloria* Oggi vogliamo riflettere insieme su uno dei passaggi più profondi e commoventi del Vangelo di Giovanni: la preghiera di Gesù nel capitolo 17. Questa preghiera, spesso chiamata "la preghiera sacerdotale", ci rivela il cuore di Gesù per i Suoi discepoli e per tutti coloro che crederanno in Lui attraverso la loro testimonianza. È una preghiera che parla di unità, di gloria, di missione e di amore eterno. Gesù inizia la Sua preghiera alzando gli occhi al cielo e dichiarando: "Padre, l'ora è venuta". Questa "ora" è il momento cruciale della Sua missione: la croce. Gesù sa che la Sua glorificazione passa attraverso il sacrificio, e chiede al Padre di glorificarlo affinché, a Sua volta, Egli possa glorificare il Padre. Ma qual è lo scopo di questa gloria? La vita eterna per coloro che il Padre gli ha dato. E cosa significa vita eterna? Conoscere il vero Dio e Gesù Cristo, il Suo Figlio. Non si tratta di una conoscenza intellettuale, ma di una relazione intima e trasformativa con il Dio vivente. Gesù prega per i Suoi discepoli, coloro che il Padre gli ha dato. Li ha custoditi, ha rivelato loro il nome del Padre e ha trasmesso loro la Parola di Dio. Ora sta per lasciarli fisicamente ma non li abbandona. Chiede al Padre di proteggerli dal maligno, di santificarli nella verità e di mantenerli uniti. Notiamo qui un tema centrale: l'unità. Gesù desidera che i Suoi discepoli siano uno, come Lui e il Padre sono uno. Questa unità non è solo un ideale, ma una testimonianza potente al mondo dell'amore di Dio. Ma Gesù non prega solo per i Suoi discepoli immediati. La Sua preghiera si estende a tutti coloro che crederanno in Lui attraverso la loro parola. Questo include noi, oggi. Gesù desidera che siamo uniti, che viviamo in comunione con Lui e con il Padre, e che il mondo veda questa unità e creda. Egli ci ha dato la gloria che il Padre gli ha dato, affinché siamo perfetti nell'unità. Questa è la nostra missione: vivere in modo tale che il mondo riconosca l'amore di Dio attraverso la nostra unità e il nostro amore reciproco. Cosa significa tutto questo per noi oggi? - *Conoscere Dio*: La vita eterna inizia con una relazione personale con Gesù Cristo. Dedichiamo tempo a conoscerLo attraverso la preghiera e la lettura della Sua Parola. - *Vivere l'Unità*: La nostra unità come credenti è una testimonianza potente. Cerchiamo di superare le divisioni e di amarci gli uni gli altri come Cristo ci ha amati. - *Essere Santificati*: La santificazione è un processo continuo. Lasciamo che la Parola di Dio ci trasformi e ci renda più simili a Cristo. - *Testimoniare al Mondo*: La nostra unità e il nostro amore devono essere visibili, affinché il mondo creda. Viviamo in modo da glorificare Dio in tutto ciò che facciamo. La preghiera di Gesù in Giovanni 17 è un tesoro di verità e di speranza. Ci ricorda che siamo amati, custoditi e chiamati a una missione gloriosa. Che possiamo vivere ogni giorno alla luce di questa preghiera, cercando di conoscere Dio più profondamente, di amarci gli uni gli altri e di testimoniare al mondo l'amore di Cristo. _Meditazione di Giovanni 17:1-26_

*L'odio e la testimonianza* Nel brano evangelico di oggi, Gesù rivela una verità fondamentale per chi segue il Vangelo: essere discepoli di Cristo significa accettare di non appartenere al mondo. Questa realtà porta inevitabilmente a conflitti con esso, poiché il mondo odia ciò che non comprende e rifiuta ciò che lo mette in discussione. Ma questa tensione non è un segno di fallimento; anzi, è una conferma della fedeltà di Dio e della nostra vocazione come cristiani. Gesù dice chiaro: "Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo" (v. 19). Qui egli sottolinea che i seguaci di Cristo sono stati scelti da lui "in mezzo al mondo". Questa elezione non implica separazione totale dal mondo, ma una distinzione profonda tra il modo di vivere del cristiano e le priorità terrene. Il mondo ama ciò che è suo – il potere, l'autosufficienza, l'egoismo – mentre il cristiano è chiamato ad amare ciò che appartiene a Dio: la giustizia, l'umiltà e l'amore sacrifìcato. L'odio del mondo verso i cristiani è una conseguenza naturale di questa differenza radicale. Non si tratta di una questione personale o accidentale; è parte dell'eredità lasciatoci da Gesù stesso. Egli avverte i suoi discepoli: "Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (v. 20). Questa profezia non deve spaventarci, bensì confortarci, perché ci ricorda che siamo figli e figlie di un Padre che ha sopportato tutto per amore nostro. La persecuzione non è un segno di debolezza, ma di identificazione con Colui che ha camminato sulla via della croce. Il motivo principale dell'odio del mondo è l'ignoranza di Dio. Gesù spiega: "Non conoscono colui che mi ha mandato" (v. 21). L'umanità vive immersa nella cecità spirituale, incapace di vedere la gloria di Dio manifestata nel Figlio. Quando Gesù parla della sua missione e delle sue opere, egli chiarisce che queste sono un dono unico, mai visto prima. Tuttavia, invece di accoglierle con gioia, il mondo le respinge, dimostrando così la sua ostilità nei confronti del Padre celeste. L'odio diretto contro Cristo è, in ultima analisi, un odio diretto contro Dio stesso. Ma Gesù non conclude il discorso con una nota di tristezza o di condanna. Al contrario, introduce una promessa di speranza: "Quando sarà venuto il Consolatore... egli testimonierà di me" (v. 26). Lo Spirito Santo, inviato dal Padre, diventa il testimone supremo della verità di Gesù. Attraverso lui, i cristiani ricevono forza per affrontare le avversità e coraggio per rendere testimonianza della fede. Noi stessi, come discepoli, siamo chiamati a partecipare a questa testimonianza, perché "siamo stati con [Cristo] fin dal principio" (v. 27). La nostra testimonianza non deriva dalla nostra abilità o forza personale, ma dalla presenza continua dello Spirito Santo in noi. Egli ci sostiene quando il mondo ci opprime, ci ispira quando le parole mancano, e ci dà serenità quando ci troviamo davanti all'ostilità. Essere cristiani significa non solo subire l'odio del mondo, ma trasformarlo attraverso l'amore di Cristo. Come dice Paolo nell'Epistola ai Romani: "Non vi conformate a questo mondo, ma trasformatevi mediante il rinnovamento della vostra mente" (Romani 12:2). In conclusione, il passo biblico di quest'oggi ci invita a riflettere sul nostro ruolo come testimoni di Cristo in un mondo che spesso ci resiste. Accettiamo l'odio non come una prova di insuccesso, ma come un privilegio che ci lega a Gesù. Nel momento in cui ci affidiamo allo Spirito Santo, scopriamo che la nostra testimonianza può illuminare le tenebre e portare la pace là dove regna l'odio. Così, impariamo a glorificare il Padre con ogni nostra azione, sapendo che, anche se il mondo ci odia, noi siamo amati da Dio in modo eterno. _Meditazione di Giovanni 15:18-27_

*La tristezza e la gioia* Nel capitolo 16 del Vangelo di Giovanni, Gesù si rivolge ai suoi discepoli con parole che, sebbene misteriose, sono cariche di profonda verità e promessa. Egli annuncia: *«Tra poco non mi vedrete più; e tra un altro poco mi vedrete»*. Questa dichiarazione, apparentemente enigmatica, suscita confusione tra i discepoli, che si interrogano sul significato di quel "tra poco". Gesù, conoscitore dei cuori, comprende la loro perplessità e offre una spiegazione che va oltre il semplice senso letterale, rivelando una verità spirituale che tocca il cuore della fede cristiana. Gesù sta parlando della sua imminente morte, risurrezione e ascensione al Padre. Il "tra poco" si riferisce al tempo in cui i discepoli lo vedranno crocifisso e sepolto, un momento di profonda tristezza e smarrimento. Ma quel "tra poco" è seguito da un altro "tra poco", che anticipa la gioia della risurrezione e la rivelazione della sua vittoria sulla morte. Gesù sta preparando i suoi discepoli a comprendere che la sofferenza e la tristezza non sono la fine, ma piuttosto un passaggio necessario verso una gioia più grande e duratura. La metafora che Gesù usa è quella di una donna che partorisce. Il dolore del parto è intenso, ma è un dolore che ha uno scopo: dare vita. Una volta che il bambino è nato, la gioia di quella nuova vita cancella il ricordo dell'angoscia. Allo stesso modo, la tristezza dei discepoli per la morte di Gesù sarà trasformata in gioia quando lo vedranno risorto. Questa gioia non sarà temporanea, ma eterna, perché fondata sulla vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato. Gesù promette ai suoi discepoli che, dopo la sua risurrezione, la loro relazione con lui e con il Padre sarà trasformata. *«In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda»*, dice Gesù, indicando che la loro comprensione sarà completa, e la loro fede sarà resa perfetta. Inoltre, Gesù introduce una nuova dimensione della preghiera: *«Qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà»*. Questo è un invito a una relazione intima e fiduciosa con Dio, in cui i discepoli possono chiedere con la certezza di essere ascoltati, perché pregheranno nel nome di Gesù, il mediatore perfetto tra Dio e l'uomo. La promessa di Gesù è chiara: la tristezza dei discepoli sarà trasformata in gioia, una gioia che nessuno potrà togliere. Questa gioia non dipende dalle circostanze esterne, ma dalla presenza di Cristo nella loro vita. È una gioia che nasce dalla certezza della risurrezione, dalla comunione con il Padre e dalla potenza della preghiera fatta nel nome di Gesù. Per noi oggi, queste parole di Gesù sono un incoraggiamento a guardare oltre le nostre difficoltà e tristezze. Come i discepoli, possiamo attraversare momenti di dolore e confusione, ma dobbiamo ricordare che la nostra tristezza è solo temporanea. In Cristo, ogni dolore ha uno scopo, e ogni lacrima sarà asciugata. La nostra gioia è garantita dalla sua presenza e dalla sua promessa di vita eterna. Che possiamo, quindi, vivere nella certezza che, anche nei momenti più bui, la gioia della risurrezione è già nostra. E che possiamo avvicinarci al Padre con fiducia, sapendo che ogni nostra preghiera, fatta nel nome di Gesù, sarà ascoltata e risposta, per la nostra gioia completa. _Meditazione di Giovanni 16:16-24_

*Gli avvertimenti amorevoli di Gesù* Nel capitolo 16 del Vangelo di Giovanni, Gesù si rivolge ai suoi discepoli con parole che risuonano di profonda verità e di un amore premuroso. Egli prepara i suoi seguaci per un futuro che sarà segnato dalla persecuzione e dall’incomprensione. Queste parole, pronunciate nel contesto dell’Ultima Cena, non sono solo un avvertimento, ma anche un incoraggiamento a rimanere saldi nella fede, nonostante le prove che verranno. Gesù inizia dicendo: *«Io vi ho detto queste cose, affinché non siate sviati»* (Giovanni 16:1). Qui, il Signore dimostra la sua cura pastorale. Egli sa che i discepoli, dopo la sua partenza, affronteranno momenti di confusione e tentazione. La persecuzione, l’isolamento e persino la violenza potrebbero portarli a dubitare della verità del Vangelo o a chiedersi se siano sulla strada giusta. Ma Gesù, con anticipazione, li avverte per proteggerli dallo smarrimento. Questo ci ricorda che la Parola di Dio è una luce nel buio, una guida sicura anche quando il cammino si fa oscuro. Poi, Gesù profetizza: *«Vi espelleranno dalle sinagoghe; anzi, l’ora viene che chiunque vi ucciderà, crederà di rendere un culto a Dio»* (Giovanni 16:2). Questa affermazione è sconvolgente. Gesù descrive una realtà in cui la persecuzione non viene solo dal mondo pagano, ma anche da coloro che si considerano religiosi, da coloro che credono di servire Dio attraverso la violenza. Questo è un monito potente per tutti noi: la religiosità, se non è radicata nella conoscenza autentica di Dio, può diventare uno strumento di oppressione e di male. La vera adorazione non si misura attraverso l’osservanza esteriore delle regole, ma attraverso l’amore, la giustizia e la misericordia. Gesù aggiunge: *«Faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me»* (Giovanni 16:3). Qui, il Signore rivela la radice del problema: l’ignoranza spirituale. Coloro che perseguitano i discepoli non hanno una relazione autentica con Dio. Non conoscono il Padre, né il Figlio. Questo ci chiama a riflettere sull’importanza di una fede personale e vivente, che non si accontenta di tradizioni o rituali, ma che cerca una comunione intima con Dio. Infine, Gesù conclude: *«Ma io vi ho detto queste cose, affinché quando sia giunta l’ora, vi ricordiate che ve le ho dette»* (Giovanni 16:4). Questa è una promessa di consolazione. Gesù sa che i discepoli, nel momento della prova, potranno trovare conforto nel ricordare le sue parole. Egli non li ha lasciati impreparati. Allo stesso modo, oggi, possiamo trovare forza nelle Scritture, che ci preparano per le sfide della vita e ci ricordano che Dio è sempre con noi, anche nelle tempeste. In questo brano, Gesù ci insegna che la persecuzione e l’incomprensione non sono segni del fallimento del Vangelo, ma piuttosto una conseguenza della sua verità. Come discepoli di Cristo, siamo chiamati a perseverare, a rimanere radicati nella sua Parola e a confidare nella sua presenza, anche quando il mondo ci respinge. La nostra fede non si fonda sull’approvazione degli uomini, ma sulla conoscenza di Dio, rivelata in Gesù Cristo. Che queste parole di Gesù ci incoraggino a vivere con coraggio e fedeltà, sapendo che Egli ha già vinto il mondo (Giovanni 16:33). _Meditazione di Giovanni 16:1-4_

*Amore e comunione* Il brano biblico di oggi ci offre una profonda rivelazione dell’amore di Dio e della nostra chiamata a vivere in comunione con Lui e con gli altri. Gesù, parlando ai suoi discepoli, rivela il cuore del Vangelo: l’amore che fluisce dal Padre al Figlio, e dal Figlio a noi. Questo amore non è un sentimento vago o effimero, ma un legame eterno, un’intima connessione che trasforma la nostra vita e la nostra relazione con Dio e con il prossimo. Gesù inizia ricordandoci la fonte del suo amore: “Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi” (v. 9). L’amore di Cristo per noi è radicato nell’amore del Padre, un amore perfetto, incondizionato e sacrificale. Questo amore non è qualcosa che possiamo guadagnare o meritare; è un dono gratuito, un’espressione della grazia divina. Eppure, Gesù ci chiama a “dimorare” nel suo amore, a rimanere saldamente radicati in questa realtà trasformante. Dimorare nell’amore di Cristo significa vivere in una relazione costante e intima con Lui, lasciando che il suo amore plasmi i nostri pensieri, le nostre azioni e le nostre relazioni. Ma come possiamo dimorare nel suo amore? Gesù ci offre una chiave: “Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore” (v. 10). L’obbedienza ai comandamenti di Cristo non è un peso o una legge fredda, ma una risposta gioiosa e grata al suo amore. È attraverso l’obbedienza che sperimentiamo la profondità del suo amore e la pienezza della sua gioia. Gesù stesso ci ha mostrato la via, osservando i comandamenti del Padre e dimorando nel suo amore. La nostra obbedienza, quindi, non è un atto di sforzo umano, ma un riflesso della sua grazia che opera in noi. Il culmine di questa obbedienza è espresso nel comandamento centrale di Gesù: “Che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (v. 12). L’amore che Gesù ci chiede non è un amore superficiale o egoistico, ma un amore sacrificale, un amore che è disposto a dare la vita per gli altri. Questo è l’amore che Gesù ha dimostrato sulla croce, e questo è l’amore che ci chiama a vivere. Non siamo più servi, ma amici di Cristo, perché Egli ci ha rivelato il cuore del Padre e ci ha invitato a partecipare alla sua missione redentrice. Gesù ci ricorda che non siamo noi ad averlo scelto, ma è Lui che ha scelto noi (v. 16). Questa verità ci umilia e ci eleva allo stesso tempo. Siamo stati scelti non per i nostri meriti, ma per la sua grazia, e siamo stati costituiti per portare frutto, un frutto che dura. Questo frutto è l’amore che si manifesta nella nostra vita e nelle nostre relazioni, un amore che glorifica il Padre e testimonia al mondo la realtà del Vangelo. Infine, Gesù ci promette che tutto ciò che chiederemo al Padre nel suo nome ci sarà dato (v. 16). Questa promessa non è una garanzia per soddisfare i nostri desideri egoistici, ma un’assicurazione che, dimorando nel suo amore e vivendo secondo la sua volontà, le nostre preghiere saranno allineate al suo cuore e alla sua missione. Che questa meditazione ci spinga a dimorare nell’amore di Cristo, a obbedire ai suoi comandamenti con gioia e ad amare gli altri come Egli ci ha amato. In questo modo, la nostra gioia sarà completa, e il mondo vedrà in noi il riflesso del suo amore infinito. _Meditazione di Giovanni 15:9-17_

*Dimorare in Cristo* Nel capitolo 15 del Vangelo di Giovanni, Gesù si presenta come la "vera vite" e il Padre come il "vignaiuolo". Questa immagine, profondamente radicata nella cultura agricola del tempo, ci offre una ricca metafora spirituale per comprendere la nostra relazione con Cristo e il significato della vita cristiana. Attraverso queste parole, Gesù ci invita a riflettere sulla nostra connessione con Lui, sulla necessità di portare frutto e sulla centralità della sua presenza nella nostra vita. Gesù dichiara: "Io sono la vite, voi siete i tralci". Questa affermazione sottolinea l’intima connessione tra Cristo e i suoi discepoli. Come i tralci traggono la loro vita e la loro forza dalla vite, così noi riceviamo la nostra vita spirituale da Gesù. Senza di Lui, non possiamo fare nulla. Questo è un monito contro l’autosufficienza spirituale e un invito a riconoscere la nostra totale dipendenza da Cristo. La vita cristiana non è un’impresa individuale, ma una relazione vivente e dinamica con il Salvatore. Il Padre, come vignaiuolo, "pota" i tralci che portano frutto. La potatura può essere dolorosa, ma è necessaria per una crescita più abbondante. Questo processo rappresenta l’opera di Dio nella nostra vita, che rimuove ciò che è superfluo o dannoso per farci crescere nella santità. La potatura può assumere diverse forme: prove, correzioni, momenti di riflessione o persino la rimozione di abitudini o relazioni che ci allontanano da Dio. Tuttavia, lo scopo non è punire, ma purificare e rendere feconda la nostra vita spirituale. Gesù insiste sull’importanza di "dimorare" in Lui. Il verbo "dimorare" suggerisce una permanenza costante, una relazione quotidiana e profonda. Non si tratta di un’adesione superficiale o occasionale, ma di un’unione intima e continua. Dimorare in Cristo significa nutrirsi della sua Parola, pregare con perseveranza, vivere in comunione con Lui e con i fratelli. Solo così possiamo portare frutto, che è l’evidenza della nostra fede e del nostro amore per Dio. Il frutto non è solo l’opera esteriore, ma il carattere cristiano che si manifesta in amore, gioia, pace, pazienza e altre virtù (cfr. Galati 5:22-23). Gesù avverte anche delle conseguenze del non dimorare in Lui: i tralci che si separano dalla vite si seccano e vengono gettati via. Questa immagine ci ricorda che la fede autentica non può esistere senza una connessione vitale con Cristo. La fede sterile o nominale non ha valore agli occhi di Dio. La nostra salvezza è sicura in Cristo, ma la nostra fedeltà e il nostro impegno nel dimorare in Lui sono essenziali per dimostrare la genuinità della nostra fede. Infine, Gesù promette che, se dimoriamo in Lui e le sue parole dimorano in noi, possiamo chiedere qualsiasi cosa nel suo nome e ci sarà concessa. Questo non è un invito a un cristianesimo egoistico, ma una promessa che, quando siamo in sintonia con la volontà di Dio, le nostre preghiere riflettono i suoi desideri e vengono esaudite per la sua gloria. Gesù ci chiama a una vita di intimità con Lui, di purificazione e di frutto spirituale. Dimorare in Cristo non è solo un dovere, ma un privilegio che trasforma la nostra esistenza e glorifica il Padre. Che possiamo, ogni giorno, rimanere saldamente uniti a Lui, portando frutto che duri per l’eternità. _Meditazione di Giovanni 15:1-8_

*L'aiuto dello Spirito* Nel capitolo 14 del Vangelo di Giovanni, troviamo un dialogo profondo e rivelatore tra Gesù e i suoi discepoli. Giuda (non l’Iscariota) pone una domanda che risuona nel cuore di molti credenti: *«Signore, come mai ti manifesterai a noi e non al mondo?»* (Giovanni 14:22). Questa domanda tocca un tema centrale della fede cristiana: la natura intima e personale della relazione tra Cristo e coloro che lo seguono. Gesù risponde in modo chiaro e profondo, offrendo una rivelazione che va oltre la comprensione umana e che ci invita a riflettere sul significato dell’amore, dell’obbedienza e della presenza divina nella nostra vita. Gesù risponde a Giuda dicendo: *«Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui»* (v. 23). Qui, Cristo ci rivela che la sua manifestazione non è un evento spettacolare destinato a conquistare il mondo con segni esteriori, ma un’esperienza intima e trasformativa che avviene nel cuore di chi lo ama e osserva la sua Parola. La presenza di Dio non è qualcosa che si può costringere o controllare; è un dono che si riceve attraverso l’amore e l’obbedienza. Questo ci ricorda che la fede non è una questione di dimostrazioni esteriori, ma di un cuore che si apre alla grazia divina. Gesù prosegue parlando dello Spirito Santo, il Consolatore, che il Padre manderà nel suo nome. Lo Spirito non solo insegna, ma ricorda ai discepoli tutto ciò che Gesù ha detto (v. 26). Questo passaggio ci assicura che, anche nella sua assenza fisica, Cristo non ci abbandona. Lo Spirito Santo è la presenza continua di Dio in noi, che ci guida, ci illumina e ci trasforma. È attraverso lo Spirito che la Parola di Cristo diventa viva e operante nella nostra vita, portandoci a una comprensione sempre più profonda della verità. Un altro elemento centrale di questo brano è la pace che Gesù dona ai suoi discepoli: *«Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà»* (v. 27). La pace di Cristo non è assenza di conflitti o problemi, ma una sicurezza interiore che nasce dalla certezza della sua presenza e del suo amore. È una pace che supera ogni comprensione umana e che ci sostiene anche nelle prove più difficili. Infine, Gesù annuncia la sua partenza e il suo ritorno al Padre, invitando i discepoli a non turbarsi, ma a rallegrarsi per lui (v. 28). Questo ci ricorda che la nostra fede non è fondata su una presenza fisica, ma sulla certezza che Cristo è con il Padre e che, attraverso lo Spirito, continua a dimorare in noi. In conclusione, questa meditazione ci invita a riflettere sulla profondità della nostra relazione con Cristo. La sua manifestazione non è riservata a pochi eletti, ma è accessibile a chiunque lo ami e osservi la sua Parola. Attraverso lo Spirito Santo, sperimentiamo la sua presenza costante e la sua pace, che ci sostiene nel cammino della fede. Che possiamo, quindi, aprire i nostri cuori all’amore di Cristo, lasciando che la sua Parola trasformi la nostra vita e ci conduca a una comunione sempre più profonda con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. _Meditazione di Giovanni 14:22-31_

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*Il Consolatore e la Verità* Nel brano evangelico di oggi, Gesù parla ai suoi discepoli in un momento di intensa emozione e spiritualità. Egli sa che il suo tempo sulla terra è breve, eppure, invece di concentrarsi esclusivamente sulle proprie sofferenze imminenti, offre una prospettiva profonda sull'opera dello Spirito Santo, che verrà dopo la sua partenza. Questo passaggio ci invita a riflettere non solo sulla natura della missione di Cristo, ma anche sulla funzione centrale dello Spirito Santo nella vita del credente. Gesù rivela che la sua partenza, sebbene dolorosa per i discepoli, è necessaria affinché venga il Consolatore, lo Spirito Santo. Qui emerge un paradigma fondamentale del cristianesimo: la dipendenza totale da Dio e dalla sua opera salvifica. La presenza dello Spirito Santo non è un semplice aggiunto o un conforto secondario, ma è essenziale per la crescita spirituale e la comprensione della verità divina. Senza la partenza di Gesù, lo Spirito non sarebbe stato mandato; senza lo Spirito, noi non avremmo accesso completo alla verità di Dio. Il ruolo dello Spirito Santo, come descritto qui, è triplice: convincere il mondo del peccato, della giustizia e del giudizio. Prima di tutto, egli illumina il cuore dell'uomo riguardo al peccato. Il testo chiarisce che il peccato principale consiste nel rifiuto di credere in Gesù Cristo. Questo non è solo un atto isolato di disobbedienza, ma una condizione radicale dell'anima umana che separa l'uomo da Dio. Lo Spirito Santo rivela questa realtà con potenza, facendo capire all'uomo la sua necessità di redenzione. In secondo luogo, lo Spirito convince del concetto di giustizia, legato all'ascensione di Gesù al Padre. La giustizia non è solo un principio astratto, ma una realtà vivificante che si manifesta quando Gesù torna al Padre, dimostrando così che il piano di salvezza è stato compiuto. Attraverso la morte e la resurrezione di Cristo, la giustizia divina è stata soddisfatta, aprendo la strada per la nostra santificazione. Infine, lo Spirito convince del giudizio, sottolineando che "il principe di questo mondo è stato giudicato". Questa dichiarazione è tanto rassicurante quanto potente: Satana, il nemico eterno, è già stato sconfitto. Nonostante le sue tentazioni e inganni, il suo destino è segnato, e noi, come figli di Dio, siamo chiamati a vivere nella libertà e nella sicurezza di questa verità. Gesù conclude il discorso promettendo che lo Spirito guiderà i credenti "in tutta la verità". Questa promessa è centrale per il nostro cammino spirituale. Nessuna tradizione o autorità umana può sostituirsi alla parola di Dio, e riconosciamo che è lo Spirito Santo a illuminare la Scrittura e renderla viva nel nostro cuore. Egli non parla di sé, ma trasmette ciò che ha ricevuto dal Padre e dal Figlio, glorificando Cristo in ogni momento. Inoltre, Gesù afferma che "tutte le cose che ha il Padre sono mie", mostrando l'intimità perfetta della Trinità. Questa unità tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo è la fonte della nostra speranza e della nostra identità come figli di Dio. Essendo parte di questa famiglia divina, abbiamo accesso diretto alla verità e alla grazia attraverso lo Spirito Santo. Quindi, mentre possiamo sentire nostalgia per la presenza fisica di Gesù, dobbiamo ricordarci che la sua partenza ha portato qualcosa di ancor più grande: lo Spirito Santo, che abita in noi e ci accompagna ogni giorno. Lasciamo che queste parole ci incoraggino a confidare nello Spirito Santo, permettendogli di guidarci, insegnarci e trasformarci. _Meditazione di Giovanni 16:5-15_